La casa senza libri e la generosità degli insegnanti che le facevano prendere più di due libri per volta dalla biblioteca scolastica; la tristezza per quando finiva la scuola e il conforto delle rare fughe al mare di Noto; le ristrettezze della famiglia con un solo stipendio e la malinconia della siciliana emigrata nel profondo nord biellese. Lucia Azzolina ha ufficialmente lanciato l’operazione simpatia, primo step dell’operazione reputazione. Con un obiettivo fin troppo chiaro: presentarsi come la ragazza che, dal nulla, s’è fatta donna di governo grazie all’impegno e alla tenacia. E, si immagina, con la speranza che magari così le venga perdonato anche qualcuno dei numerosi disastri combinati.
Dunque, dimenticate l’immagine del ministro dell’Istruzione criticato per gli scarsi risultati al concorso da preside o quella della politica che è diventata esempio di cosa significhi “prendere il primo che passa” e metterlo alla guida di un dicastero. È Azzolina che ve lo chiede, con una lunga intervista al Venerdì di Repubblica, nella quale cerca di disinnescare tutti quegli elementi che la espongono alle critiche e al ridicolo. “Già al liceo mi chiamavano Cazzolina, e – ha detto Azzolina – ne ridevo. Ora, per aiutarli a ridere, mi tingo le labbra ancora di più”, ha aggiunto, sottolineando che questo avviene “non perché sono testarda, perché sono tenace”.
Capitolo riferimenti culturali. Azzolina rivela che il suo libro preferito è il Manifesto del partito comunista di Marx e Engels; che ritiene Bella Ciao una canzone “fantastica perché è la canzone della liberazione”; che “non sono femminista militante. Anche se, quando ho letto le volgarità sessiste contro di me, una forte tentazione mi è venuta”; che “non sono credente, sono agnostica”, ma “amo moltissimo questo Papa, e tengo sul tavolo, come guida morale, le opere di don Milani”.
La parte più intrigante dell’intervista, però, è senza dubbio quella sul percorso di vita della donna dietro il ministro, dalla Lucia bambina tristissima quando finiva la scuola, alla giovane emigrata che impara a cucinare le ricette della tradizione per nostalgia. “A casa non c’erano libri e dunque, in questo senso, sono nata poverissima. Mio padre, Vito, è un agente di polizia penitenziaria in pensione. Mia madre, Antonella, è casalinga. Mia sorella Rossana nacque quando avevo sei anni. Insomma – commenta il ministro – in famiglia era dura far bastare uno stipendio che non arrivava a 1.800 euro”.
In questa cornice, la scuola diventa per la giovane Lucia “il nascondiglio del mio disagio”. “Quando finiva la scuola e tutti festeggiavano, io diventavo triste. Per fortuna i miei insegnanti – ricorda Azzolina nell’intervista – violavano la regola e mi permettevano di prendere in prestito più di due libri per volta. Erano i classici russi, Oblomov e Anna Karenina, i francesi Flaubert e Maupassant… Ogni tanto andavamo al mare, nella spiaggia di Noto, che è la più bella del mondo”.
E così via, passando per l’incarico a Biella, dove ha conosciuto la solitudine e imparato a cucinare le arancine al pistacchio, per arrivare al ministero. Eppure, in questo percorso così proficuo, Azzolina di una cosa si rammarica nell’intervista: essersi scontrata con l’emergenza Covid che ne ha bloccato i sogni di riforma. Intanto, però, potrebbe concentrarsi su quello per cui passerà alla storia: i banchi a rotelle. In fondo, anche per quelli c’è voluta tanta, ma proprio tanta “tenacia”.
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