IVREA
«L’emergenza sanitaria sta in questi mesi sconvolgendo la medicina di famiglia, che fatica molto ad ottemperare ai compiti che le sono propri nei confronti degli assistiti, e cioè la cura, le diagnosi e la gestione dei pazienti soprattutto cronici che come sapete sono più a rischio di chiunque altro, e la profilassi antinfluenzale». Vincenzo Di Benedetto, storico medico di famiglia di Ivrea, Podestà del Carnevale nel 2004, parla di come lui e i suoi colleghi dell’Asl/To4 stanno lavorando e di quanto «sia importante che l’utenza comprenda quello che stiamo vivendo».
Si parla molto dei reparti ospedalieri al collasso, ma pochissimo di voi. Molti sostengono che in questo periodo è mancata la catena della medicina territoriale. Come risponde?
«L’emergenza sanitaria ha cambiato la medicina di famiglia. Le difficoltà poco si palesano ai cittadini, essendo i contatti diretti medico/paziente molto diradati rispetto all’epoca pre-Covid, ma trasferiti, almeno per i casi meno urgenti, su altri canali ed altre modalità (email, cellulare, messaggistica telefonica…). Questo non significa lavorare meno: si ricevono giornalmente decine, se non centinaia di richieste da ogni fonte (Inps, datori di lavoro, ecc). I miei pazienti trovano spesso il telefono occupato ma è così: non è colpa mia. Quello dei medici di famiglia, assieme ad alcuni centri ospedalieri in prima linea, è un settore che negli ultimi mesi non ha chiuso un solo giorno. Spesso i medici hanno garantito risposte anche di sabato e domenica, penalizzando il proprio legittimo ristoro settimanale; nelle Rsa siamo sempre andati e abbiamo continuato a visitare gli ammalati non deambulabili a nostro rischio e pericolo per i pochi dpi (dispositivi di protezione) forniti inizialmente dalla Cri. Solo ora l’Asl ci ha fornito di una prima tranche per iniziare le vaccinazioni antiinfluenzali dove già scarseggia la fornitura di vaccini. Ci sentiamo abbandonati ed è giusto che la gente lo sappia. E poi nessun riconoscimento. Il governo ha mai pensato di dare i bonus anche a noi trafelati, invece che per i monopattini elettrici? ».
Cosa non ha funzionato?
«Il sistema ha continuato a partorire, giorno dopo giorno, nuove leggi, norme, cavilli burocratici dietro ai quali i medici di famiglia hanno dovuto affannarsi penosamente. Si è spaziato dalle fantasiose certificazioni Inps, alle cervellotiche segnalazioni a recapiti telefonici desolatamente muti, ad altre diavolerie che hanno reso più angosciante un periodo già drammatico di per sé. La piattaforma regionale Covid on line dove inseriamo i sospetti contagiati per richiedere tamponi funziona a singhiozzo, nonostante le centinaia di e-mail inviate all’Assessorato della Regione per protesta».
I medici di medicina generale cosa stanno facendo?
«Per dare supporto ai propri pazienti abbandonati da un sistema che non regge, stanno facendo ben oltre il proprio dovere, richiedendo direttamente i tamponi, isolando i contatti, prenotando direttamente i test per la guarigione dei pazienti ormai asintomatici che diversamente resterebbero abbandonati nel loro isolamento, certificando una guarigione e un rientro in comunità che dovrebbe fare il Sisp ma non ce la fa. È vergognoso che alle famiglie dei colleghi deceduti non sia stato riconosciuto l’infortunio sul lavoro come accade per i medici ospedalieri, con tutto il rispetto per loro».
Come vi state organizzando per effettuare i tamponi rapidi?
«Ci prenderemmo rischi completamente inutili. Pochi sanno che i rapidi secondo l’accordo andranno fatti solo “agli asintomatici contatti stretti di caso risultato positivo noto”, individuato da noi o dal Sisp o “allo scadere dei 10 giorni di isolamento identificato in base sempre ad una lista trasmessa dal Sisp al medico stesso”. Chi ha il sospetto di essere contagiato non può alzarsi una mattina e pretendere di fare il tampone rapido da noi, deve sempre essere valutato in base a criteri ben precisi dal medico. Il tampone antigenico rapido, tra l’altro, quando è positivo, non è attendibile al 100% e necessita di un secondo tampone molecolare. Arcuri dice che la corrispondenza con il molecolare è vicina al 100 % ma Crisanti, famoso virologo, precisa che questa verifica l’hanno fatto solo sui positivi. Invece chi risulta negativo al test rapido nel 30 per cento può essere positivo, quindi continua a diffondere l’infezione senza alcun controllo, in grado potenzialmente di creare nuovi focolai di cui non si sa nulla».
Questo cosa significa, che la situazione è fuori controllo?
«Questo sistema poteva avere un senso a settembre, quando ancora forse si poteva contenere l’epidemia, ma adesso ormai il virus è dilagato e ci sono moltissimi positivi con scarsissimi sintomi, che se riconosciuti non fanno nessuna differenza sull’economia della pandemia. Tanto più che è in corso il lockdown. Non ha più senso selezionare i positivi, ora, tanto più che l’infettivologo Pauli afferma che il positivo non è detto sia contagiante, bisognerebbe misurargli la carica virale».
Cosa teme di più?
«Come noto, quasi tutti i nostri studi sono appartamenti privati, arredati a studio medico. Nessuno di questi, sarebbe mai stato autorizzato a queste pratiche, non rispondendo alle caratteristiche di ambulatorio. Se dovessimo trovare un caso positivo, evento altamente probabile, cosa succede? Quali protocolli bisognerebbe attivare? Temporanea chiusura con gravi danni anche perché dovremmo stare noi stessi in isolamento a casa e sospendere l’attività lavorativa, lasciando i nostri pazienti senza assistenza sanitaria. I nostri assistiti non ci meritano stanchi, non ci meritano offuscati perché non saremmo di aiuto come sempre se costantemente di corsa e affannati. Loro hanno bisogno di noi, come prima e forse di più, perché hanno paura e le patologie non si fermano perché la presenza del Covid è costante».
Giorni fa l’Ordine del medici di Torino ha invocato il lockdown totale perché teme che il sistema sanitario collassi. Lei è d’accordo?
«Noi operatori in trincea non chiediamo un lockdown, chiediamo solo di continuare a fare il nostro lavoro già seriamente compromesso tra un sospetto contagio e l’altro. Il medico di famiglia deve avere la libertà di scegliere se somministrare i test ai pazienti oppure astenersi e non dover essere minacciato da imposizioni coercitive e sanzionabili da clima del terrore, come in Veneto».
Cosa proponete?
«Se invece di caricarci di ulteriori incombenze ci fossero due persone distinte che al drive in facessero o il tampone molecolare o quello rapido in base alla nostra segnalazione (se sintomatico o se solo contatto asintomatico) sarebbe più semplice ed economico. Oppure creare dei tendoni da campo militare che possono essere allestiti in qualsiasi piazza, dove il medico che decide di aderire a fare i test rapidi potrebbe turnare, aiutato da personale a vestirsi. E con un call center diurno e notturno per ridurre il nostro già pesantissimo carico di lavoro».
Quali consigli dà ai suoi pazienti?
«Primo non lasciarsi prendere dal panico. L’infettivologo Nicastri dello Spallanzani spiega che in questo periodo bisogna alimentarsi con frutta, verdura, spremute di agrumi, yogurt, kefyr, pesce di lisca, perché rinforzano i muscoli, compresi quelli respiratori e se si diventa malati di Covid, l’eventuale difficoltà a respirare migliora coricandosi a pancia sotto perché in questa posizione non c’è la compressione esercitata dal peso della gabbia toracica sugli alveoli. Stare con la mascherina (sempre che sia efficiente e non la stessa per molti giorni) ci si protegge, ma basta staccarla e toccarsi bocca o naso o occhi con le mani non lavate bene e il contagio aggredisce. Dicono i virologi che la mascherina andrebbe cambiata almeno due volte al giorno e che quelle di stoffa o quelle usate più di un giorno non servono a nulla. E aggiungo usatela sempre anche all’aperto, anche se i primi giorni dell’obbligo ero l’unico a portarla in via Palestro». —