All'apparenza sembrano mascherine chirurgiche qualunque, certificate, a tre veli. Finora ne sono state prodotte 60 mila in tutto e ciascuna lancia un messaggio, contiene un significato oltre allo scopo primario di difendere chi la indossa e gli altri dal coronavirus. In primo luogo, sono destinate a categorie molto bisognose di questi dispositivi di protezione, in particolare chi si trova in carcere, costretto a vivere in spazi molto stretti dove il distanziamento sociale non è facile garantirlo. E lo stesso può dirsi per il personale che lavora negli istituti penitenziari.
Non è tutto, anzi è solo la premessa: A realizzare a mano queste mascherine in dodici diversi laboratori, sono state circa 140 persone, per la maggior parte detenute. E non lo hanno fatto pro bono, sono state regolarmente stipendiate per il loro impegno dalla grande ricaduta sociale.
È questo in sintesi il senso e la portata del progetto «Italia is one», nato dalla collaborazione multipla di diversi attori. Due realtà di artigianato sociale, Astrolabio e Mending for Good, il Gruppo Servier in Italia, società farmaceutica internazionale indipendente e governata da una fondazione no-profit, più Cooperativa Alice, ente senza scopo di lucro impegnato a costruire una società inclusiva che riconosca un ruolo alle donne vittime di violenza e che vivono la realtà carceraria.
«In considerazione dell'attuale situazione emergenziale abbiamo costruito un network di sartorie sociali, per lo più penitenziarie, con cui abbiamo ottenuto dall'Istituto Superiore di Sanità l'autorizzazione alla produzione e commercializzazione di mascherine chirurgiche a tre veli» racconta Caterina Micolano, presidente del consiglio di amministrazione di Cooperativa Alice. «Siamo molto orgogliose di aver intrapreso questa impresa sociale e che i nostri interlocutori si siano dimostrati sensibili alla nostra iniziativa. Il progetto ha una doppia valenza, non solo di responsabilità sociale nei confronti delle detenute, ma anche di impegno civile nei confronti della società in un particolare momento di bisogno come quello caratterizzato dall'emergenza Covid-19».
Nata nel 1992, la Cooperativa Alice è stata tra le prime realtà ad aver parlato di moda negli istituti penitenziari e a dimostrare come il design e la creatività, siano ingredienti fondamentali per un riscatto sociale che non coinvolge soltanto le donne detenute o vittime di violenza, ma travolge l'intero sistema che lo scatena. In 28 anni di vita, la cooperativa ha spaziato dalla sartoria teatrale, con la creazione di costumi per La Scala e la Fenice, alla realizzazione di abiti per gli spot pubblicitari, fino a collezioni con un suo brand, «Sartoria San Vittore» e la produzione nella sartoria forense per gli avvocati e i magistrati di tutta Italia, fino ad arrivare oggi all'impegno contro la pandemia.
«L'emergenza sanitaria che l'Italia e il mondo intero si trovano ad affrontare impone a tutti un impegno collettivo in termini di responsabilità sociale. Dall'inizio della pandemia il Gruppo Servier in Italia ha sostenuto diverse iniziative per contrastare gli effetti di questa epidemia, a supporto delle autorità sanitarie, medici, ospedali, fondazioni, associazioni pazienti e cittadini in difficoltà. Un impegno che continuerà anche per i mesi futuri» dice invece Viviana Ruggieri, portavoce del Gruppo Servier in Italia. «La mission di Servier» aggiunge «mette al centro di ogni nostra azione le persone e non poteva esimersi dal supportare "Italia is One", che rappresenta un esempio unico e concreto di riabilitazione sociale e di tutela del diritto inalienabile alla salute delle persone private della libertà, nel caso specifico della popolazione femminile, una categoria particolarmente fragile e bisognosa di supporto».