Mentre Emily Ratajkowski è al centro da mesi di un dibattito sui diritti della sua immagine e più in generale di quella del corpo femminile, il tutorial che Alexandria Ocasio-Cortez ha girato per Vogue America, in cui racconta la sua beauty routine, ha fatto il giro del mondo. Tra l’applicazione di un prodotto e l’altro, la star dei Dem americani vi demolisce il patriarcato, parla di uguaglianza di genere, denuncia la “pink tax” – il prezzo maggiorato per i prodotti dedicati espressamente alle donne –, sottintendendo che nel 2020 è obbligatorio superare alcuni cliché.
«Circola questa idea distorta per cui chi è appassionato di make-up, di bellezza e di moda sia una persona frivola», dice AOC. Bellezza e politica, invece, sono estremamente interconnesse. Oggi più che mai. Che si tratti della diciottenne attivista americana Feroza Aziz, la quale in un tutorial su TikTok ricorda gli abusi subiti dagli uiguri musulmani (etnia turcofona) in Cina, oppure della giornalista di Hong-Kong Cherie Chan, che mostra come nascondere il viso durante le proteste intrecciandosi davanti i capelli in una sorta di passamontagna, le cause della giustizia civile e sociale non sono mai state tanto intrinsecamente collegate all’estetica.
Con la diffusione, negli Stati Uniti e in Europa, delle telecamere per il riconoscimento facciale, alcuni artisti, attivisti e make-up artist hanno unito le forze per creare CV Dazzle (Computer Vision Dazzle), un sistema ispirato alla tecnica di pittura geometrica usata durante le due guerre mondiali per rendere irriconoscibili le navi corazzate. In pratica, il sistema impiega il trucco per oscurare i cinque punti che gli algoritmi considerano strategici per il riconoscimento facciale: fronte, naso, guance e mento.
(Continua)
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