SEDEGLIANO. Voce di basso ma alto due metri. 1,94 centimetri per la precisione. Plinio Clabassi (1920-1984), la voce di Gradisca di Sedegliano che ha fatto vibrare i più grandi teatri d’Italia e Europa, fino in Australia, Nuova Zelanda, Corea, celebra quest’anno i cento anni dalla nascita. Ma non pare che la sua figura di uomo e d’artista, talentuoso, altruista e generoso sempre, venga degnamente ricordata. «Dimenticato, non capito. Pochi hanno saputo dar merito al suo talento, alla sua carriera, alla sua bontà. Pur avendo calcato prestigiosissimi palcoscenici e duettato con primedonne e primi uomini straordinari, in paese col suo ritorno molti lo consideravano una specie di cantante di sagra, nulla più. Davvero poco valorizzato». Questo racconta Marì Domini, di Tolmezzo, che Plinio lo ha conosciuto e molto bene. Un’amicizia la loro iniziata per caso sul finire degli anni ’60 e durata tutta la vita.
Giovane maestro elementare in paese, poi la carriera militare, sottotenente sul fronte greco albanese e rientro inatteso da provocare involontariamente la morte della madre per infarto, lei che lo credeva morto in guerra. Poi Roma, gli studi di canto con Mario Cusmich, Plinio conosceva la musica e in gioventù aveva diretto la corale di Gradisca, fino all’occasione della vita con l’audizione per l’Eiar, la futura Rai. Da lì il successo, entrato a far parte dell’Italian Opera Company per concerti e tournée in Europa e Oltreoceano. Tosca, Traviata, Manon, Aida, Trovatore, Bohéme e molti altri capolavori con registi straordinari. Ha cantato a fianco di interpreti di primo piano come Gino Bechi, Maria Caniglia, Renata Tebaldi, Beniamino Gigli e Maria Callas.
Con il ritorno a Gradisca nel 1970 e l’amore finito con la prima moglie (il soprano Rina Gigli, figlia di Beniamino) Clabassi ha iniziato una serie di attività e opere benefiche per la sua gente e il suo Friuli, di ordine sociale, comunitario, accogliendo spesso molta gente a casa sua, facendo anche costruire un campo di bocce in giardino per animare le attività ricreative paesane.
Ci racconta Marì Domini: «L’ho conosciuto quand’ero ventenne, per caso, nel 1968. Ogni domenica mattina ero al Teatro di Trieste, occupavo un posto in un palco di amici, così ho avuto l’occasione di incontrarlo e intrattenermi con lui e la sua compagnia di colleghi e amici. La nostra divenne una solida e sincera amicizia, ci sentivamo spesso al telefono quando non potevamo vederci, si confidava con me, ci scambiavamo consigli. Conservo ancora e con molto affetto diversi suoi ricordi e regali, dei cimeli che per me hanno un immenso valore affettivo, oltre che storico, tra cui la fotografia originale del suo profilo d’artista, da me scelta su sua richiesta, testimonianze autografe, diverse altre fotografie e un’audiocassetta preziosissima che conserva registrazioni per pianoforte e voce da lui effettuate nella sua casa. Una produzione del tutto inedita con brani di Sarti, Pergolesi, Giordani, Mozart, Caldara, Bellini, Dvorak, fino ai classici della canzone napoletana. Purtroppo, nonostante il teatro del suo paese natale sia titolato a lui, niente altro o troppo poco si è fatto e si sta facendo per ricordare questo grande artista. Merita sicuramente di più».
