Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Con il Covid in terapia intensiva è finita l’avvocatura italiana. Tribunali inaccessibili. Cancellerie intolleranti alla presenza degli avvocati. Processi rinviati sine die. Processi celebrati da remoto o attraverso la trattazione scritta. Il morbo covava già da tempo, serpeggiava tra i disservizi dell’ufficio notifiche, i ritardi nella fissazione delle udienze, le interminabili attese per entrare in aula e alla fine è esploso…
La pandemia ha aperto il baratro: i protocolli si sono sostituiti ai codici di procedura e le cancellerie hanno fermato l’attività giudiziaria. Per primo si è levato il grido del Presidente dell’Unione Camere Penali, Giandomenico Caiazza, che ha tuonato contro il processo da remoto: «Il processo penale richiede il controllo fisico e emotivo di quello che accade nell’aula. Senza il quale è amputare il diritto di difesa». Gli ha fatto eco il Presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma, avvocato Antonino Galletti, con un video diventato virale ha pesato su una bilancia la mole di provvedimenti ai quali l’avvocato dovrebbe uniformarsi per esercitare il diritto alla difesa in tempo di epidemia: otto kg di carta.
La giustizia sta morendo di burocrazia, al Ministero di Grazia e Giustizia i vertici, i ruoli più importanti, sono ricoperti da magistrati. Con la conseguenza che le decisioni vengono adottate secondo l’esclusivo punto di vista della magistratura. Nessuno spazio è concesso agli avvocati che sono sempre più spesso visti come un intralcio. Lo stesso processo da remoto, come sottolineato da più parti, ha come obiettivo la burocratizzazione del processo che diventa un iter nel quale il diritto di difesa è ammesso soltanto se non “ostacola” il percorso della giustizia. Un’idea autoritaria che vede l’avvocato non come garante dei diritti dei cittadini, ma come un nemico dal quale guardarsi le spalle. E come ospiti poco graditi vengono trattati gli avvocati in quella che dovrebbe essere la loro casa: il Tribunale.
Accessi contingentati, soltanto su appuntamento e mal tollerati dal personale di cancelleria. Così l’avvocato, privato della sua funzione, del luogo naturale in cui deve operare, assomiglia sempre più a un personaggio in cerca d’autore di pirandelliana memoria. Ma se la classe forense uscirà di scena si dissolverà anche il diritto alla difesa e il cittadino resterà solo davanti al potere giudicante. «L’avvocatura vigilerà», ha detto il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Maria Masi. Intanto il comitato “Giustizia Sospesa” il 29 maggio alle 12 ha organizzato un flash mob davanti a tutti i palazzi di giustizia italiani, a Roma, davanti alla Corte di Cassazione, per riconsegnare i codici in segno di protesta. I diritti civili non possono essere messi in quarantena: pena il precipizio nella barbarie.
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