Luca FazzoLuigi Messina ha ammazzato la moglie ferocemente, con ventisette coltellate: è stato condannato a diciott'anni, il che significa che tra otto anni comincerà a uscire in permesso e poi in semilibertà. Può sembrare singolare, in un'epoca in cui la piaga dei femminicidi allarma l'opinione pubblica e produce promesse di severità. Eppure alla Procura va bene così. Ieri Messina ha affrontato il processo d'appello serenamente, sapendo bene che la condanna mite inflitta in tribunale non avrebbe in nessun caso venirgli inasprita, per il semplice motivo che né la Procura della Repubblica né la Procura generale (sempre pronta a fare le pulci all'operato della prima nei casi ad alto tasso mediatico) hanno ritenuto che valesse la pena di impugnarla. E se la pubblica accusa non fa ricorso, il giudice d'appello non può peggiorare la condanna. Così ieri la Corte d'assise d'appello conferma: diciott'anni."Papà merita l'ergastolo, ma la giustizia divina saprà cosa fare di lui", aveva detto al Giornale il 5 ottobre Valentina Messina, la giovane figlia della vittima, Rossana Belvisi, e dell'assassino. Ieri Valentina era in tribunale, sapendo benissimo che suo padre l'ergastolo non lo rischiava affatto, e a vigilare almeno che la pena non gli venisse ulteriormente scontata. Era andata a trovarlo in carcere pochi giorni fa. "Non l'ho perdonato", aveva fatto sapere: "e ora chiedo di cambiare cognome".Valentina era in vacanza in Svizzera col suo ragazzo, il 15 gennaio 2017: chiamò sua madre varie vole, senza ottenere risposta. A sera seppe dal telegiornale che era stata ammazzata, nella casa di via Coronelli, al Lorenteggio. Davanti al giudice preliminare Messina cercò di farsi passare per pazzo, poi chiese il rito abbreviato e se la cavò con diciott'anni. "Più dell'entità della pena - disse Valentina - mi ha lasciato incredula la decisione di escludere l'aggravante della crudeltà. Come è possibile? E non parlo solo delle trenta coltellate con cui l'ha uccisa. Parlo degli anni di violenza precedenti, e di come si è comportato dopo: cercando di camuffare tutto, cambiandosi, buttando l'arma nel tombino, aspettando tre ore a chiamare i soccorsi".La Procura, che per l'imputato aveva chiesto trent'anni, poteva impugnare la sentenza: ma non lo fece. Se i giudici popolari che ieri facevano parte della Corte d'assise d'appello si fossero convinti che l'imputato meritava meno indulgenza, non avrebbero potuto farci niente. Così per Messina il conto finale di un crimine terribile è più lieve delle pene che quotidianamente il tribunale milanese infligge per delitti del tutto incruenti. É un esito che rischia di dare voce a chi, come i vincitori delle elezioni del 4 marzo, sostiene che per i delitti più gravi, come gli omicidi, andrebbe esclusa la possibilità per gli imputati di ricorrere al rito abbreviato, che concede sempre e comunque lo sconto di un terzo della pena. Se Luigi Messina in primo grado fosse stato giudicato con rito ordinario, almeno ventiquattro anni poteva vederseli infliggere.