Milano - Chi è Attilio Fontana? «Un italiano medio, nella vera accezione del termine. Sessantacinque anni, tre figli di 37, 18 e 16 anni e due mogli. E poi uno a cui tutti dicevano: è una persona seria ma non lo conosce nessuno, è bravo ma non lo conosce nessuno». Così, racconta, da candidato alla guida della Lombardia è partito in grand tour «per conoscere gli elettori». Adesso è intorno a Bergamo, direzione Sarnico, ai cantieri Riva, con Roberto Maroni. È nella tana del suo avversario, Giorgio Gori, che lo accusa di fuggire.Fontana, è vero che scappa da Gori?«Abbiamo avuto cinque confronti e ne avremo un sesto, non fuggo ma bisogna fare delle scelte e io mi voglio confrontare con l'elettorato. Avrei voluto più tempo per parlare con più gente. Non temo Gori, eventualmente gli elettori».Notti insonni?«La competizione è piacevole e ho sempre dormito bene. Mi alzo alle sette perché i miei figli vanno a scuola ma faccio sempre le mie sette ore di sonno belle sode».Un senzatetto è morto a Milano.«È un tema da affrontare città per città, ma da presidente della Regione sosterrei qualsiasi Comune che chiedesse aiuto. Poi c'è chi si ritiene più libero in strada: è una scelta di vita che nessuno può impedire».La prima cosa da presidente?«Una norma che amplia la platea delle famiglie che possono godere degli asili nido. Ha una valenza sociale, perché aiuta persone in condizioni non brillanti, e simbolica perché vuole sostenere la famiglia e la natalità».A che cosa le piacerebbe legare in modo duraturo il nome di Fontana?«Vorrei che la giunta Fontana fosse ricordata come il periodo in cui i giovani hanno avviato più start up e iniziative di successo. In Lombardia ci sono eccellenze che crescono spontaneamente anche in aperta campagna».Vuol dire che non esiste solo Milano?«È quel che dicevo in modo più democristiano. Milano è la parte più importante della Lombardia, ma ci sono tante realtà da tutelare. La Lombardia ha una popolazione con senso del dovere e del lavoro incredibile, calvinista, una capacità di reagire alle difficoltà, un coraggio e una creatività unici».Pensa agli undici siti dell'Unesco?«Per valorizzare la cultura non si può parlare solo di mostre e siti, ma dell'imprenditoria culturale che è la più importante di Italia: filmografia, teatro, design».La sua città preferita?«Varese, perché il cielo di Varese è il più bello».Il suo modello politico?«Da giovane Malagodi, segretario dei liberali, perché aveva idee in cui credeva e un rigore morale assoluto. Sono di estrazione liberale, ma non ho mai avuto la tessera».E da grande?«Bossi. Ha saputo innovare la politica con la capacità di far sognare tanta gente e mi ha dato la possibilità di amministrare, ciò che mi piace di più. Umanamente con qualcosa più degli altri, eccellente anche dal punto di vista personale».Scontro Maroni-Salvini sulla Lega Nord?«Emotivamente mi spiace togliere il Nord ma se Salvini ha deciso di trasformare la Lega in un partito nazionale, era incompatibile».«La razza bianca va difesa dagli immigrati». Lo direbbe ancora?«È l'unica cosa che non rifarei nella mia vita. Uno strafalcione: era mattina presto ed ero stanco. Mi dispiace perché è una cosa che non mi appartiene. Hanno persino detto che è stata una scelta. Assolutamente non è vero».L'unica cosa che non rifarebbe?«Una fidanzata a cui non mi sono dichiarato».La barba se la farà ricrescere davvero, come ha promesso a Berlusconi?«Prima fatemi vincere, poi la farò ricrescere. Ogni promessa è un debito».