«V'è una nostalgia delle cose che non ebbero mai un cominciamento». Chissà se Giampaolo Pazzini ha mai letto qualcosa di Carmelo Bene, ma se mai l'avesse fatto si sarebbe ritrovato in questo verso che apre l'autobiografia dell'autore, edita nel 1983.Il Pazzo è più vicino alla fine della carriera che alle sue origini di giovane centravanti che si guadagnò le luci dei riflettori nella Primavera dell'Atalanta. Il suo talento non sfuggì agli occhi degli osservatori di tutta Italia, ma il suo percorso di predestinato non si è mai concretizzato appieno come facevano presagire i vagiti iniziali. La tripletta a Wembley con la maglia dell'Under 21 è roba da hat-trick, l'Inghilterra si inchina e sembra essere esploso il futuro centravanti della Nazionale, siamo nel 2007. Ma il calcio ha le sue ragioni misteriose che la ragione non conosce, Giampaolo a Firenze è chiuso e l'unico modo per diventare grande è cambiare aria. Pazzini sceglie Genova e Cassano, i due per un biennio incantano Marassi, trascinando i blucerchiati in Champions League. 48 reti in 87 gare ufficiali gli valgono la chiamata dell'Inter, ma l'idillio dura appena un anno e mezzo e Pazzini trasloca sull'altra sponda di Milano, quella rossonera. Lo scarso impiego post infortunio lo convince a trasferirsi al Verona nel 2015; prima retrocede, ma poi riporta i gialloblu in A a suon di gol, infine litiga con Pecchia e finisce in panchina.L'ultima scommessa si chiama Levante, a gennaio arriva la firma last minute e il resto è storia dei nostri giorni: Pazzini buca Navas all'89' e fa esplodere il Ciutat de Valencia. Su Twitter la società lancia il kit per festeggiare come lui, basta ritagliare la mano e mettersela sotto gli occhi. «Non sono venuto qui per fare il turista», aveva dichiarato alla presentazione, il gol rimane il suo mestiere, Giampaolo non ha tempo, la nostalgia può attendere ancora.