Fiato sospeso in Donbass dove, da qualche giorno, l’equilibrio politico interno corre su un filo di lana sottilissimo. Così sottile da rischiare di spezzarsi. Sono passati tre anni dalla domenica d’ottobre in cui, dopo il referendum sull’indipendenza da Kiev, le neonate repubbliche filorusse hanno eletto i rispettivi leader. Nell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk, con circa 445 mila voti (63,8 per cento), Igor Plotnitskij diviene presidente. Ma in queste ore la sua leadership è sotto attacco.Stando alle notizie frammentarie che arrivano dai territori “ribelli” del bacino del Donec, infatti, l’attuale governo potrebbe avere le ore contate. Mercoledì scorso, nella Capitale, i cittadini già provati da anni di ostilità si sono risvegliati in una città militarizzata. Blindati e uomini in uniforme hanno perimetrato gli edifici governativi del centro, le comunicazioni televisive e radiofoniche sono state interrotte. Inizialmente spacciato per “un’esercitazione”, ben presto si è delineato come un vero e proprio colpo di stato guidato dal ministro dell’Interno Igor Kornet.Una risposta giunta a ventiquattr’ore dalla mossa con cui Plotnitskij ha estromesso Kornet, figura di primo piano dell’esecutivo, dal suo dicastero. Ufficialmente le ragioni risiedono nelle accuse di corruzione mosse al ministro che si è difeso parlando di “campagna di screditamento”. Non è la prima volta che un tentato golpe permette a Plotnitskij di sbarazzarsi dei nemici interni. Accadde anche a settembre dello scorso anno e al mancato putsch seguì l’arresto del primo ministro Gennady Typkalkov, morto in carcere in circostanze misteriose.Per sbloccare questo braccio di ferro che sembra arrivato ad uno snervante punto di stallo servirebbe la mediazione di Mosca. Il Cremlino, però, si guarda bene dal prendere apertamente posizione sulla questione, mantenendosi equidistante e smentendo categoricamente le indiscrezioni riportate dai media circa il presunto sostegno della Russia “ad alcune forze politiche” della autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk e, in particolare, alla fazione golpista. Il direttore del dipartimento presidenziale in materia di cooperazione economica e sociale con i paesi membri della Comunità degli stati indipendenti (Csi), l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, Mikhail Arutjunov, ha definito gli eventi in corso a Lugansk “un affare interno”: “Nessuno da Lugansk ha mai cercato l’appoggio del Cremlino”.