Quando ho visto in libreria “Il quinto scenario atto secondo” di Claudio Gatti con sottotitolo “I missili di Ustica La strage del 27 giugno 1980. Le risposte dopo decenni di domande”, lo ho preso in mano con grande scetticismo; sfogliandolo ho capito che dava la responsabilità dell’abbattimento dell’aereo agli israeliani.
La cosa mi sembrava assurda, le basi da cui sarebbe partito l’attacco sono a migliaia di chilometri di distanza e poi perché avrebbero dovuto farlo? L’uscita del libro proprio in questo momento quando gli israeliani sono in guerra e bombardano senza pietà i palestinesi e il Libano aumentava le mie perplessità.
Comunque il libro mi incuriosiva, conclusi che avere in casa un libro in più che non sapevo dove mettere non sarebbe stata la fine del mondo e alla fine lo comprai.
Per rispondere alla mia prima obiezione, la distanza da Israele, si deve ricordare un fatto storico, il bombardamento del quartier generale OLP Hammam Chot, a 19 km da Tunisi il 1° ottobre 1985.
Si conoscono tutti i particolari tecnici, furono utilizzati 10 caccia F15, 2 aerei cisterna, un Boeing centro di comando, 2 Hawkeye per disturbare i radar libici, tunisini, algerini.
Per Ustica 5 anni prima sarebbero stati necessari solo un caccia Phantom F4 per l’attacco, un caccia Kfir per seguire l’aereo bersaglio e un aereo cisterna, un impiego di forze decisamente inferiore.
La distanza è di poco maggiore rispetto a Tunisi, Gatti ipotizza che siano stati necessari 2 rifornimenti all’andata e due al ritorno e che vi fossero almeno due caccia per l’attacco e due per seguire il bersaglio; le numerose tracce radar confermerebbero questa ipotesi.
Per rispondere alla mia seconda obiezione, l’obiettivo dell’attacco, si deve ricordare il programma atomico irakeno dichiarato civile, mentre gli israeliani erano certi avesse come obbiettivo la costruzione di una bomba atomica.
Gli israeliani erano decisi ad impedirlo con ogni mezzo, infatti il 7 giugno 1981 bombardarono e distrussero il reattore Osirak in territorio iracheno, un attacco a uno Stato estero in tempo di pace.
Nel giugno 1980 i francesi dovevano fornire il combustibile per il reattore Osirak, materiale che dopo trattamento avrebbe consentito di costruire una bomba atomica; dopo aver considerato l’invio via terra e via mare si decise di effettuare la consegna con un aereo che partendo dal sud della Francia seguì le aerovie civili attraversò il Tirreno per poi proseguire lungo il Mediterraneo Orientale fino in Iraq.
Gatti ha faticosamente ricostruito che la prima parte di questo materiale partì da Marsiglia il 25 giugno, ma per ragioni di sicurezza si era dato la notizia e scritto su molti documenti interni che la spedizione sarebbe stata fatta il 27 giugno, ed è del tutto verosimile che questa data sia stata conosciuta dagli israeliani.
Quindi l’aereo che trasportava l’uranio arricchito sarebbe dovuto transitare da Ustica entro poche ore prima o dopo l’aereo dell’Itavia e un errore nell’identificazione è verosimile, anche perché in quell’ora in quel punto l’aereo Itavia non doveva esserci, era decollato con circa due ore di ritardo.
Si potrebbe fare una terza obiezione, chiedersi se gli israeliani erano disposti ad abbattere un aereo civile di una nazione amica in tempo di pace.
Gatti ricostruisce numerosi casi precedenti, dal 1955 al 1980 l’aviazione israeliana intercettò 13 volte aerei civili per dirottarli o abbatterli, a volte perché volavano per errore su territorio israeliano, più spesso deliberatamente.
Farò qualche esempio:
28 ottobre 1956 Ilyushin Il-14 in volo da Damasco al Cairo abbattuto perché si pensava che a bordo ci fosse il generale Amer comandante supremo dell’esercito egiziano.
21 febbraio 1973 Boeing 727 libico abbattuto perché fuori rotta su territorio israeliano e si rifiutava di atterrare.
10 agosto 1973 Caravelle della Middle East Airlines costretto ad atterrare perché si pensava che a bordo ci fosse George Habash.
23 ottobre 1982 jet privato da Atene al Cairo su cui doveva essere Yasser Arafat; l’aereo era già stato intercettato dai caccia, ma l’abbattimento fu sospeso perché all’ultimo momento si scoprì che a bordo non c’era Arafat ma il fratello.
La prima edizione di questo libro è del 1994 e aveva come coautore la moglie di Gatti Gail Hammer. Gatti scrive di essere stato spinto a fare una nuova edizione dall’intervista a Repubblica di Giuliano Amato del settembre 2023 in cui in sostanza chiede alla Francia di ammettere la sua responsabilità.
Gatti sostiene di aver aggiornato e arricchito di nuovi capitoli la sua inchiesta, ma la mia impressione è che il libro sia sostanzialmente invariato.
Amato ha scritto una prefazione del libro in cui nel suo stile senza sbilanciarsi troppo considera la tesi del libro verosimile e convincente.
Gatti nel 1980 era giornalista corrispondente dagli Stati Uniti per diverse testate e la strage di Ustica diventò per lui quasi una ossessione. Decise di indagare per conto suo e approfittando della sua professione iniziò a fare interviste telefoniche e in presenza con testimoni e persone che potevano essere coinvolte anche marginalmente. Questo arricchisce il libro perché vengono alla luce parecchie vicende interessanti, come un colpo di stato tentato contro Gheddafi o il programma nucleare iracheno.
Il titolo “Quinto scenario” allude ai primi quattro scenari scartati.
L’ipotesi della bomba viene scartata a priori.
Io la avevo scartata quando ho visto la registrazione del disastro dal radar di Fiumicino; dal punto luminoso che segnala la posizione dell’aereo escono improvvisamente perpendicolarmente alla rotta una quantità di punti luminosi, i rottami causati dall’esplosione. Se la causa fosse una bomba i rottami sarebbero lanciati in tutte le direzioni, al più in quantità leggermente maggiore da un lato se la bomba fosse stata posizionata da un lato all’interno dell’aereo.
I rottami proiettati perpendicolarmente alla rotta possono essere causati solo da una collisione o da un missile, conservazione della quantità di moto. In tutti i dibattiti a seguito dell’incidente non ho mai sentito questa considerazione, che mi sembra evidente.
Il primo scenario considerato è la possibile responsabilità degli italiani, un missile lanciato per prova o durante una esercitazione; scenario subito scartato, quel giorno non c’erano esercitazioni, che comunque non si fanno di notte e al centro del Tirreno.
Secondo e terzo scenario sono accumunati dall’obbiettivo: Stati Uniti o Francia avrebbero voluto abbattere l’aereo su cui si trovava Gheddafi. Si spiega che Gheddafi non sarebbe partito perché avvisato da Craxi del pericolo. Di tutto questo non c’è la minima prova, è sorprendente che questa ricostruzione sia stata presa sul serio per molto tempo.
Tra l’altro l’aereo con Gheddafi avrebbe dovuto essere diretto a Nord, mentre il DC9 Itavia era diretto a sud.
Gheddafi non sarebbe mai andato a fare shopping o il turista in incognito a Parigi o a Londra, era un capo di stato ed i suoi viaggi all’estero erano visite ufficiali attentamente organizzate.
L’unica traccia che Gatti ha trovato sull’argomento è la richiesta di un piano di volo da Tripoli a Varsavia per un aereo con VIP a bordo, volo che poi non fu effettuato.
Se poi si fosse voluto eliminare Gheddafi, nessuno avrebbe pensato ad un agguato nel mezzo del Tirreno. La controprova è che per uccidere Gheddafi nel 1986 Reagan ordinò il bombardamento della sua residenza a Tripoli, effettuato il 14 aprile 1986.
Non si capisce con che aerei gli Stati Uniti avrebbero potuto effettuare l’attacco a Ustica.
L’unica nave della US Navy che avrebbe potuto lanciare gli aerei, la Entrprise era ancorata di fronte a Napoli, con i radar spenti per non disturbare le trasmissioni televisive.
Poi quando gli Stati Uniti hanno voluto uccidere qualcuno lo hanno fatto alla luce del sole, anzi vantandosene, vedi casi Bin Laden o Soleimani.
I francesi avevano le loro portaerei Clemenceau e Foch in porto a Tolone, quindi impossibilitate a lanciare, ma gli aerei sarebbero potuti partire dalla base aerea di Solenzara in Corsica.
Ma sia per Stati Uniti che per Francia un piano del genere non è concepibile anche senza fare considerazioni morali.
Avrebbe coinvolto decine di persone a tutti i livelli, militari e politici, impossibile mantenere il segreto, sarebbero uscite subito indiscrezioni, impensabile poi che a distanza di 40 anni nessuno abbia parlato.
Anche più facile escludere il quarto scenario, la responsabilità dei libici.
Gatti ha intervistato dei piloti italiani ingaggiati per addestrare i piloti militari libici, ha posto il problema e la risposta è stata che la Libia non aveva assolutamente i mezzi tecnici per organizzare un attacco del genere e che il livello dei piloti sarebbe stato del tutto inadeguato.
Come già detto, ero scettico quando ho acquistato questo libro, ma l’ipotesi di Gatti mi ha convinto.
Gatti sfruttando la sua professione di giornalista, ha svolto una inchiesta paziente e approfondita che ha permesso di conoscere anche altre storie collaterali che aumentano l’interesse del libro.
Quando tutte le soluzioni più probabili sono impossibili, la soluzione più improbabile è quella giusta.
Certo manca la prova definitiva, che potrebbe essere solo la confessione di un colpevole, ma non c’è da stupirsi che manchi.
Probabilmente oggi sono ancora in vita una ventina di israeliani che hanno partecipato all’abbattimento, tutte persone convinte della necessità di mantenere il silenzio; se poi qualcuno volesse parlare, in Israele sarebbe immediatamente arrestato per alto tradimento e all’estero farebbe la fine del Dott. Yahia Al-Marash, egiziano che lavorava al programma nucleate iracheno, assassinato a Parigi il 13 giugno 1980, la settimana prima di Ustica.
Il Dott. Al-Marash è stato picchiato a morte e Gatti ipotizza che da lui si volesse conoscere la data e le modalità dell’invio di urania in Iraq.
La prima edizione del libro del 1994 è caduta nel disinteresse più assoluto, nessuno ne ha parlato e lo stesso è accaduto per la nuova edizione del 2024.
Questo rende necessario qualche ragionamento sulla libertà di parola e sull’informazione in Italia.
Certo c’è la libertà di dire quello che si vuole, si può scrivere e pubblicare tutto, ma certe informazioni all’opinione pubblica non arrivano.
Ci sono stati innumerevoli articoli di giornale, trasmissioni televisive, rievocazioni su Ustica, come mai nessuno ha parlato di questa ipotesi, nessuno ha invitato Gatti per un dibattito?
E’ vero che su Ustica sono usciti molti libri, tra cui diversi che sostenevano la tesi della bomba, e questo libro può essere sembrato uno dei tanti inaffidabili, ma un giornalista che scrive sull’argomento o allestisce un servizio televisivo dovrebbe documentarsi e saper distinguere gli argomenti seri dalla paccottiglia.
Altra questione da toccare è il depistaggio da parte di nostri militari e politici, che è partito subito e con grande decisione.
Sicuramente i militari non sapevano chi era il colpevole, ma erano sicuri che era uno Stato amico e che quindi si doveva nascondere la verità.
Si è proceduto con la tecnica tipica dei servizi segreti, inventando prima una storia senza fondamento, il cedimento strutturale, poi ripiegando su una storia più credibile, la bomba; ho il dubbio che anche la teoria attualmente più accreditata, l’attentato a Gheddafi, sia una terza copertura, una voce messa in giro per depistare.
Cossiga ha dichiarato di aver appreso la pista francese dai servizi segreti.
L’Amm. Fulvio Martini nel giugno 1990 dichiara alla commissione stragi che l’ipotesi di un missile aria aria francese o americano è la più probabile.
Non saprei se perché ingannati o consapevoli, i politici hanno seguito a ruota, anche loro con estrema decisione; il ministro Rino Formica ha causato il fallimento della compagnia aerea Itavia perché il presidente Davanzali si era permesso di sostenere la tesi del missile.
Questa decisione è costata allo stato italiano 108 milioni di Euro di risarcimento.
C’è stata una lunga serie di processi, alla fine in sede penale i militari sono stati assolti per i depistaggi, ma in sede civile lo Stato Italiano è stato condannato e la tesi del missile avallata dalla sentenza.
Sui depistaggi voglio dare una giustificazione ai militari. Mentre è certo che all’inizio non sapevano cosa era successo e nascosero la verità, può darsi che in seguito si resero conto che non potevano essere stati né francesi né americani, tanto meno italiani e libici, e che quindi sostenessero in buona fede la tesi della bomba perché non vedevano altre possibilità.
Il libro ha diverse manchevolezze, probabilmente perché prodotto in economia da una piccola casa editrice.
È diviso in 17 capitoli tutti senza titolo e manca un indice, per cui è difficile orientarsi e ritrovare informazioni lette in precedenza; il numero di persone citate e intervistate è grande e si sente la mancanza di un indice dei nomi con le pagine in cui il personaggio è citato.
Non guastava anche aggiungere fotografie o disegni degli aerei coinvolti e una cartina con le rotte dell’aereo abbattuto e di quella presunta degli attaccanti.
Questo non cambia il giudizio finale che rimane molto positivo.
Per me Ustica era un puzzle in cui i pezzi non si incastravano,
L’ipotesi della battaglia aerea non stava in piedi, vi era un aereo che si nascondeva sotto il DC9 dell’Itavia e un altro che cercava di attaccarlo abbattendo l’aereo sbagliato.
Ma di chi era l’aereo attaccante e di chi era il bersaglio?
C’è un testimone che la sera della strage ha visto un aereo con ali a delta in rotta che attraversava la Calabria diretto verso lo Ionio.
Non aveva senso, fosse stato un Mirage francese doveva rientrare alla base dalla parte opposta.
Con l’ipotesi israeliana l’aereo sotto il DC9 era un Kfir con le ali a delta, non si nascondeva, ma seguiva il bersaglio indicandolo al compagno che doveva attaccare e compiuta la sua missione rientrava attraversando la Calabria verso il rifornimento aereo e la base.
Tutti i pezzi del puzzle vanno al loro posto.