TRIESTE Valorizzare il talento personalizzando la formazione anche grazie all’impiego di docenti tutor e orientatori. Potenziare l’istruzione tecnico-professionale per dare un futuro ai giovani e competitività alle imprese.
Rimettere al centro gli insegnanti aumentando gli stipendi, dando anche più dignità e autorevolezza alla figura del docente. E poi, riforma del voto in condotta per responsabilizzare gli alunni, no ai cellulari e sì ai tablet.
Idee e progetti per il rilancio della scuola italiana illustrati ieri dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara in un incontro con i giornalisti de Il Piccolo nella nostra redazione. Temi e sfide che accomunano l’Italia agli altri Paesi dell’Occidente e che trovano spazio nel G7 Istruzione di Trieste, il summit che per tre giorni, fino a domani, vede protagonisti ministri e delegati da Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Giappone, oltre a rappresentanti di Ucraina, Brasile, Unione degli Stati africani. E a Lignano c’è il summit parallelo dei giovani.
Ministro, perché avete scelto Trieste e il Friuli Venezia Giulia come sede del vertice e cosa rappresenta questo territorio nel panorama italiano dell’istruzione?
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«Trieste è una grande capitale culturale e scientifica. C’è una concentrazione di istituti di ricerca e di eccellenze scientifiche sul territorio che non ha pari in Europa. È il ponte verso l’Est, è una terra di dialogo, di incontro tra culture. Insomma, è il luogo ideale per ospitare un G7 Istruzione. Poi, quella del Friuli Venezia Giulia è una scuola di grande livello, secondo i dati Ocse i risultati medi degli alunni sono molto buoni, e ci sono Its di eccellenza».
Qual è il significato della presenza ucraina al summit?
«Il ministro ucraino un anno fa mi ha dato una rappresentazione spaventosa della situazione: scuole, biblioteche e laboratori rasi al suolo. Noi che rappresentiamo i Paesi più industrializzati dell’Occidente abbiamo l’obbligo di preoccuparci di ricostruire il tessuto scolastico e formativo dell’Ucraina. Un Paese e la sua identità vivono nella scuola. Poi avremo la presenza africana e ci sarà il videomessaggio del ministro brasiliano, un ponte verso il G20 che si terrà in autunno a Rio, perché siamo convinti che da Trieste possano partire idee forti. Del resto la maggior parte dei problemi sono comuni a tutti i Paesi, dalla fuga degli insegnanti all’alta dispersione, dall’uso dei cellulari a scuola che alcuni Paesi hanno abolito, al governo dell’intelligenza artificiale. Vorrei ringraziare il presidente della Regione Fedriga per la straordinaria collaborazione: ha svolto un ruolo importante per il G7 qui a Trieste».
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La sfida del futuro è legata a competenze e nuove professionalità: come connettere la scuola e il mondo dell’impresa, offrendo più manodopera specializzata?
«Unioncamere prevede che fino al 2027 il 47% dei posti di lavoro offerti dalle imprese non troverà qualifiche corrispondenti. Vuol dire una perdita del Pil di 35 miliardi. La prima risposta è la riforma del 4 più 2 che collega in modo molto stretto istruzione tecnico-professionale e aziende, puntando sulla qualità dei programmi, nei quali sarà potenziato lo studio di italiano, matematica, inglese, oltre a sviluppare competenze tecnico-professionali specifiche. Per la prima volta consentiamo ai professionisti e agli imprenditori di insegnare, laddove manchino le specializzazioni interne alla scuola. Vogliamo investire sui laboratori d’eccellenza e rafforzare l’apprendistato formativo e l’alternanza scuola-lavoro sulla base dei migliori modelli: Austria, Germania, Svizzera, Svezia e Francia. Dopo 4 anni si potrà scegliere l’università, il lavoro, o di proseguire con un Its dove sviluppare le competenze acquisite. Poi c’è il campus: nello stesso contesto formazione regionale, istruzione tecnico-professionale, licei, Its, atenei e aziende che dialogano mettendo in sinergia idee e competenze. Infine, incoraggiamo ricerca e innovazione, perché negli istituti tecnico-professionali si fanno anche brevetti. Un 16enne ha una creatività tale che, guidato da un insegnante preparato, può fare cose meravigliose».
Chi viene da una famiglia che può permettersi un computer o delle ripetizioni avrà più facilmente un rendimento alto. Il sostegno al merito non diventa così un sostegno al privilegio?
«Per quanto riguarda i computer, stiamo digitalizzando tutte le scuole attraverso il Pnrr. Ma il problema qui tocca il tema del merito. Strumentalmente, nonostante le mie spiegazioni, si è detto che il merito è una concezione aristocratica della scuola in Italia. La scuola italiana della riforma Gentile lo era, era una piramide con il classico al vertice, scuola per le élite. Il merito è per me una cosa diversa: dare il meglio che ciascuno ha dentro attraverso l’impegno. Qui entra il ruolo del docente tutor e del docente orientatore».
Ovvero?
«Abbiamo distribuito fondi destinati ai docenti disciplinari che svolgono attività di potenziamento in orario extra curriculare. Il docente tutor, formato e pagato ad hoc, coordina tutti i docenti disciplinari per potenziare e personalizzare la didattica. Se uno studente ha problemi in matematica, perché deve essere la famiglia a pagare per le ripetizioni? Il docente tutor organizza un potenziamento della matematica in orario curricolare ed extra, prepara un percorso personalizzato per recuperare. Lo stesso vale per lo studente che ha uno straordinario talento per la matematica, e può usare questo strumento per approfondire e accelerare. Questa è una scuola estremamente democratica perché non fa distinzione fra ceti sociali. Il docente orientatore dà poi indicazioni alla famiglia e allo studente su quale può essere il percorso più adatto a lui. Poi uno sceglie quel che vuole. Da qui l’importanza del portfolio».
È stato molto criticato.
«Se chi mi ha attaccato, avesse letto l’ordinanza del ’22 su tutor e orientatore, si sarebbe reso conto che il portfolio è fondamentale in questo percorso, perché contiene una sintetica e progressiva descrizione delle abilità, predisposizioni, ritardi e necessità del giovane, dalla prima elementare alla fine del liceo, ad esempio».
Le statistiche dicono che gli studenti italiani hanno molti più compiti a casa della media degli altri paesi europei.
«È un tema che voglio affrontare e su cui va fatta una riflessione. Personalmente credo che in orari extra scolastici i ragazzi abbiano bisogno anche di respirare, fare sport, coltivare degli hobby. Forse in alcune scuole c’è un eccesso di carico didattico pomeridiano a casa. Però non voglio fare battute demagogiche, affronterò con razionalità la cosa».
L’abbandono fra gli studenti stranieri è elevato.
«Oltre il 30% di ragazzi stranieri abbandona la scuola e non posso accettarlo. Vuol dire che il modello ha fallito. Non possiamo stupirci della criminalità minorile se non saniamo il fenomeno. A volte non parlano una parola di italiano, ed è inutile costringerli a seguire semplicemente le lezioni ordinarie. Il problema non si risolve con le classi differenziate: la classe rimane la stessa, ma le ore di italiano questi ragazzi le faranno con un insegnante formato e reclutato ad hoc, che li aiuti a recuperare il gap. È una misura di inclusione, non di razzismo, che vuole realizzare una scuola realmente democratica».
Gli studenti con disabilità?
«I docenti di sostegno devono essere specializzati, e le università non sono in grado di specializzare tutti quelli necessari. Allora noi offriamo Indire, il nostro centro di formazione, per soddisfare il fabbisogno a cui non riesce a rispondere il sistema universitario. Nella norma ho inserito anche la continuità didattica: se la famiglia è soddisfatta del rapporto instaurato fra docente e alunno, può chiedere alla scuola di confermare quel docente anche per gli anni successivi, se è precario. Perché la rottura del rapporto alunno-docente può essere un trauma molto grave. Le associazioni lo chiedevano da oltre vent’anni».
L’uso dei cellulari?
«Dico sì al tablet alle elementari, con giudizio e sotto la guida del docente, dico no al cellulare. Ormai ci sono decine di studi sugli effetti negativi sull’attenzione, la creatività, la memoria dei bambini».
Il voto in condotta?
«La scuola deve motivare i giovani e valorizzare i talenti, quando non funziona ci vuole la condotta, che significa responsabilità individuale. Diritti e doveri».
Il bullismo nelle scuole costituisce da tempo una piaga: cosa si sta facendo per contrastare il fenomeno?
«La prima risposta è la scuola che valorizza il talento individuale. La seconda è proprio ridare valore alla condotta. Ma se fai il bullo la scuola non ti sospende, tenendoti a casa e consentendoti di dedicarti alla playstation. Invece, ci saranno più scuola e anche attività sociali. Lavorare in una mensa per bisognosi o in una casa di riposo, per esempio, significa imparare la solidarietà, ridimensionare il proprio ego ipertrofico».
