ROMA
Il chiarimento è ancora rimandato. Prima o poi i leader del centrodestra torneranno a vedersi, di fatto è un obbligo visto le scadenze elettorali, forse all’inizio della prossima settimana si romperà il ghiaccio, ma le difficoltà nel trovare una data per un banale incontro non sono da attribuire a problemi di agenda. La diffidenza reciproca tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini aumenta ogni giorno. Il post ironico del deputato di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli - «Salvini a Mosca? Può cedere la Lombardia alla Russia» - ha indignato i leghisti che hanno chiesto a Meloni di prendere le distanze. L’interessato però ha rivendicato la battuta: «Mi è uscita dal cuore, ma Salvini se la merita tutta».
La coalizione, mandata in crisi dalla rielezione di Sergio Mattarella, può implodere definitivamente in Sicilia. La scelta di un candidato unico per le comunali di Palermo è stata faticosissima e, se alla fine (quasi) tutti hanno deciso di convergere su Roberto Lagalla, il problema principale resta: Lega e Forza Italia (pur con delle eccezioni) non vogliono appoggiare la rielezione dell’attuale governatore Nello Musumeci, appoggiato da Fratelli d’Italia. In particolare è Gianfranco Miccichè, presidente dell’assemblea regionale e potente capo corrente di Forza Italia, a ostacolare Musumeci. Per Meloni non si tratta di una bega locale: non candidare un amministratore uscente è la rottura di un patto, con conseguenze potenzialmente gravi, tanto che FdI ora mette in discussione le alleanze in Lombardia e nel Lazio (si vota fra un anno). In privato, i dirigenti di tutti i partiti lo riconoscono: la situazione è tale che difficilmente un vertice potrà risolvere i problemi di fondo tra alleati.
Ma a dividere i partiti del centrodestra non sono solo le amministrative. Il 12 giugno si vota anche per i referendum sulla giustizia. Dei cinque quesiti, FdI ne sostiene solo due, (Meloni si è sfilata su custodia cautelare e abolizione della legge Severino), mentre Forza Italia di fatto non sta facendo campagna accanto alla Lega.
Il raggiungimento del quorum, il 50% dell’elettorato, è un’impresa vicina all’impossibile, secondo tutti i sondaggisti. Salvini ieri ha provato a mandare segnali di ottimismo: «Nulla è impossibile», prendendosela poi con quella che ha chiamato la «lobby del silenzio», ovvero i mezzi di comunicazione che non parlano dei cinque quesiti. In realtà, lo stesso segretario della Lega ultimamente si è esposto poco sul tema, temendo, forse, il contraccolpo d’immagine del probabile fallimento. Intervenendo a un convegno “Io dico sì #ReferendumGiustizia”, il segretario leghista ha spiegato il senso della battaglia: «I referendum servono a tracciare una linea netta, per poi permettere a chi governerà, dall’anno prossimo, con una maggioranza più omogenea rispetto a questa, di ricostruire un modello giudiziario più moderno». Ma tra i Radicali c’è malumore, per il poco impegno di Salvini sui referendum e per il mancato deposito delle firme raccolte lo scorso anno, con la conseguenza che il Comitato promotore non ha diritto agli spazi televisivi obbligatori di informazione.
