Il successo di Chiara Ferragni – dell’imprenditrice digitale, di una Chiara Ferragni che canta, di quella che prova i balli di Tik Tok – è materia polemica. Qualcuno, cioè, lamenta una mancanza di talento, in nome dell’abusato «potrei farlo anch’io». Ma non è l’«io» ad aver determinato la trasformazione dell’influencer nel «re Mida» versione social. È il «noi», un’entità collettiva, il plurale che raccoglie e accoglie noi esseri umani sgraziati, noi che il canto non sarà mai un mestiere. Noi gente normale, che nell’eterno confronto con la vita così come Instagram ha pretesto di dipingerla ben poco abbiamo di cui rallegrarci.
https://www.youtube.com/watch?v=4Rp6netehE4Ciò che Chiara Ferragni ha saputo fare è stato normalizzare quel che l’era virtuale ci ha imposto di nascondere: piccoli difetti, peculiarità «condonabili» di ogni essere umano. Chiara Ferragni ci ha insegnato a ballare senza badare alla nostra scarsa coordinazione. Ci ha insegnato che non sono tutti glamour e ben riusciti i selfie che scattiamo vicino a compagni entusiasti. Che gli scherzi li patiamo, che non ridiamo quando dovremmo e non diciamo (sempre) quel che sarebbe lecito aspettarsi. Chiara Ferragni ci ha portate a dire che la palestra, no, non è poi questo gran divertimento. E, insieme a Baby K, ci ha incoraggiate a tirar fuori voci taciute anche di fronte ai compleanni altrui, quando il canonico «Tanti auguri» si è trasformato in un lip-sync.
E qui, nello sfoggio genuino di un sé che non può (né deve) essere perfetto, ha costruito il suo vero e più duraturo successo. Quello che l’ha resa virale anche quando non lo avrebbe meritato, nell’interpretazione di una canzone che si è candidata a tormentone dell’estate in corso. Non mi basta più, improbabile featuring con Baby K, è diventato virale nello spazio di un attimo. E poco importa Chiara Ferragni abbia fatto niente per produrre il brano. Le due sole battute che l’abbiamo sentita «cantare», la coreografia, che ha imparato con malcelata pazienza nel corso di estenuanti sedute su Tik Tok, l’hanno resa una hit. Che, con sé, ci ha portato anche il prezioso insegnamento: non è necessaria la perfezione. Non in musica, non in famiglia, dove le marette con Fedez e i dispettucci di Leone, bambino angelicato, non sono cosa da nascondere, ma di cui ridere, con noi o per noi.