Questo articolo fa parte di una serie di lettere d’amore all’Italia, scritte da grandi attori e registi. È stato pubblicato sul numero speciale 20/21 di Vanity Fair diretto da Paolo Sorrentino, in edicola fino al 2 giugno 2020
Ero più giovane dei miei 19 anni, una ragazza di campagna che, dalla Pennsylvania, si era trasferita a New York con il desiderio di fare l’attrice. Una ragazza con tanti sogni e, a sentire la mia agente di modelle, con il sedere grosso.
Fu lei a mandarmi in Italia per fare qualche servizio fotografico e avere un’idea del mondo. Chiesi alla mia migliore amica, che aveva studiato in una scuola d’arte a Perugia, di insegnarmi qualche frase utile in italiano. Mi spiegò come dire: «Vorrei una macedonia» e «sono vergine».
Non diventai più magra per via del cibo italiano incredibilmente gustoso ma… ricevetti qualche proposta di matrimonio!
Vivevo a Milano, una città industriale, non proprio famosa per le sue grandi bellezze, ma pur sempre piena di monumenti, chiese, arte e cultura. Vivevo senza un soldo, con parecchie altre ragazze piene di sogni, dividevamo le nostre piccole fortune e le speranze per il futuro.
In più, ricordo i suoni: le campane delle chiese, le chiacchiere della gente per strada, le urla, gli abbracci, le risate, l’amore. I fiori e il cibo nelle vie, le vie stesse. La cultura della famiglia, il ritrovarsi con gli amici, le discoteche, la musica, la moda.
In Italia, più che in qualunque altro posto sia mai stata, la famiglia era tutto. Questa è l’Italia che non solo mi è restata in mente, ma che rimane con me, nella mia vita, a casa mia, ancora oggi. L’Italia della famiglia. Del tempo trascorso a tavola, delle risate, dell’amore. Un amore che comincia con la fede e la convinzione che se restiamo uniti possiamo fare qualunque cosa.
Foto: Harry Eelman/The New York Time