C’è chi, a distanza di 4 mesi, porta ancora le conseguenze di quell’aggressione del luglio scorso.
«Un’aggressione brutale, mi hanno rotto la mandibola e picchiato a sangue. Per rubare poche decine di euro». Il racconto di un imprenditore, picchiato selvaggiamente fa venire i brividi se si pensa alla sorta di Arancia Meccanica che il gruppetto dei denunciati impersonava alla perfezione. Nelle loro teste si doveva fare pulizia degli omosessuali.
Bisognava punirli in quanto tali. E non si accontentavano di massacrarli fisicamente, ma dopo si accanivano persino contro le loro auto. Vergando simboli fallici o scrivendo “gay” sul cofano con un cacciavite e in alcuni casi distruggendo l’interno dell’abitacolo.
La prima denuncia finisce sul tavolo del sostituto procuratore Roberto D’Angelo che perde il sonno pur di cercare elementi utili a incastrare la banda.
Emerge subito che si fatica ad avere la piena collaborazione delle vittime. Alcuni non denunciano nemmeno, per paura che venga alla luce la loro omosessualità o se lo fanno, raccontano di essersi fermati in via Polonia o nelle vicinanze per rispondere ad un messaggio o per fumare una sigaretta.
Ma in mezzo a tanta reticenza c’è una denuncia che consente la partenza delle indagini e che contiene qualche elemento in più. Il suo telefonino viene rubato e risulta ancora acceso. Un errore che di fatto porterà alla identificazione della banda.
Quel telefonino infatti – grazie al positioning – risulta acceso in uno stabile di Fossò nel Veneziano dove in cortile c’è pure l’Audi A3 nera segnalata in qualche occasione. Scatta l’esame dei tabulati del telefoni accessi in quel palazzo.
I carabinieri del Nucleo investigativo di Padova, sempre su delega del pm Roberto D’Angelo, vedono se ci sono dei telefonini che in orari serali e notturni agganciano (o hanno agganciato le settimane precedenti) la cella di via Polonia a Padova, in zona industriale.
La verifica dà i frutti sperati per tre numeri, intestati ad altrettanti residenti, tra i 20 e 22 anni, incensurati. Una strada dove non passi – e a maggior ragione non ti fermi – a caso. Risultano presenti proprio le serate delle aggressioni. Le foto degli intestatari vengono fatte vedere agli aggrediti che li riconoscono. Infatti anche se agivano mascherati, a turno avveniva l’adescamento delle vittime a volto scoperto.
Le perquisizioni personali danno gli esiti sperati visto che vengono trovate mazze da baseball, piedi di porco, pistole finte, maschere che vengono riconosciute dalle vittime.
A suffragare la colpevolezza di due ragazzi c’è anche un particolare non da poco. Due di loro vengono controllati dai carabinieri alle 4 di notte vicino aduno sportello bancomat dopo aver prelevato. I carabinieri li lasciano andare visto che nulla si sa ancora della loro colpevolezza, ma vengono registrati i loro nomi.
Più tardi si scoprirà che quel bancomat era stato rapinato ad una vittima, tenuta sequestrata (da qui l’imputazione anche di sequestro di persona) per un’ora, per consentire cioè ai complici di andare a prelevare il denaro allo sportello. E se il pin comunicato dalla vittima non fosse stato corretto, di poterla picchiare ulteriormente.
I nomi dei due che prelevano fanno parte del gruppo di persone sospettate che di notte, 3 volte alla settimana dal 5 giugno al primo agosto, si fermano per qualche ora in via Polonia.
Quando le perquisizioni portano alla luce quelle maschere paurose, non facili da recuperare sul mercato, il cerchio delle prove si è chiuso.
All’atto della perquisizione gli indagati sembrano tranquilli e indicano ai carabinieri dove si trova quello che cercano. Dalle indagini si capisce che nessuno di loro agisce per rapinare, per procurarsi denaro. I maggiorenni lavorano e sono incensurati.
La rapina è solo una conseguenza, l’ennesimo sfregio ad un omosessuale. Colpevole di essere tale. E dopo le bastonate a colpi di mazza di legno o con spranga di ferro, in qualche caso scatta il furto del denaro, del bancomat e il danneggiamento della macchina.
Le aggressioni si fermano improvvisamente a fine luglio. Le forze dell’ordine, infatti, iniziano a controllare la zona e i protagonisti hanno paura di essere scoperti.