di Giovanni M.
È passato un anno dalla morte di Giulia Cecchettin, un episodio che ha scioccato tutti noi.
Nonostante un dolore a cui non si riesce a trovare un aggettivo idoneo, Gino Cecchettin è l’emblema di come la strada dell’odio non serva a nulla. In tutti i suoi interventi non ha mai usato una parola fuori posto, mai scaduto in un comportamento becero o detto mezza parola che gettasse scredito neanche davanti a chi gli ha tolto sua figlia.
Non ho idea di cosa abbia provato/provi oggi davanti a tutto questo (non deve essere facile per niente), ma quel che è sicuro è che rappresenta un esempio di come, anche davanti alle situazioni più atroci, la resilienza è una modalità funzionale che smonta il sentimento del rancore, oltre a dare una dignità a quello che è successo a Giulia. Seppur l’odio sia una modalità frequentemente utilizzata tanto da farne cavalli di battaglia, lui va controcorrente: un esempio virtuoso di come la società si può cambiare senza entrare a gamba tesa, senza bisogno di creare cortine fumogene o nemici per arrivare al proprio obiettivo.
Si sta avvicinando la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, altro tema caldo. La cosa più deludente è che nel nostro paese non ci sia una visione a lungo termine: in molte realtà si celebra una data per poi dimenticarne il significato negli altri 364 giorni; in altre vedo celebrare una giornata così importante solo “perché si deve fare” facendone perdere il valore e l’utilità. Che senso ha tutto questo?
Oltre ad avere la memoria corta, è consueto anche il vizio di utilizzare una modalità istituzionale sbagliata nei modi e nei momenti, spesso fine a stessa, che a volte scade davvero nel grottesco. Quando saremo prossimi a risolvere questi imbarazzanti cortocircuiti? D’atro canto, invece, sono felice di avere degli esempi da ammirare e da cui ricominciare: uno di questi porta il nome di Gino Cecchettin.
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