«Questo è il libro che mia mamma Bruna voleva scrivere, o che avrebbe voluto scrivere se… Se cosa? Gliel’ho chiesto e richiesto, e ogni volta mi ha dato una risposta differente, ma per arrivare alla stessa conclusione: “Scrivilo tu”».
La figlia di Bruna è Rosi Braidotti, una voce chiara, coraggiosa, critica, appassionata. Filosofa, teorica femminista e del soggetto nomade post-umano, si batte da anni contro il dominio delle identità granitiche a favore della diversità e della solidarietà intergenerazionale. Lei quel libro, voluto dalla madre, lo ha scritto.
Il ricordo di un sogno (Rizzoli) sarà presentato martedì 19 novembre, alle 18, alla libreria Lovat di Trieste e mercoledì 20 novembre, alle 18, a “Foyer d’autore”, rassegna del Teatro Nuovo Giovanni da Udine, in collaborazione con Civici Musei, Biblioteca Joppi e Libreria Moderna Udinese.
Se Latisana è il luogo di nascita e della casa con “la finestra cosmica” che si affacciava sull’orto e idealmente sul mondo, Udine è il luogo degli studi al Liceo Stellini, ma anche città in cui è confluita una parte dei Braidotti e la bisnonna Pasqua, che lavorava in un caffè, da cui nacque nonna Maria, che sopravvisse a due guerre. Rosi Braidotti è autrice di numerosi libri e saggi, tradotti in 26 lingue, ma questa, appena pubblicata, è l’opera di una vita.
La storia di un archivio, costruito con scrupolosa cura, e insieme la storia emblematica di una famiglia complessa, sparpagliata, lacerata, smembrata. Una famiglia che, nonostante tutto, si cerca e si aiuta, perché ogni membro è parte dell’altro e dell’insieme. La narrazione, scritta, come dice l’autrice, con il cuore, la mente, i piedi, è scandita da tre foto di un album che ha settant’anni.
È la scrittura di un sogno, ma anche di una ricerca, seguendo i rami della famiglia a Cividale, a Udine, a Resia, a Latisana, ma anche in Australia e in Argentina. Soprattutto è una storia costruita con la madre. Insieme, ascoltandola mentre usa le parole come gesto d’amore nel ruolo di Sherazade. Insieme, cercando e decifrando indizi, lettere, documenti. Insieme, nel ricomporre i «cerotti della memoria». Insieme, nel tramandare. Rosi Braidotti diventa «apprendista nella bottega di mastri artigiani della memoria», «scriba» e «ingranaggio della scrittura».
Il titolo del libro, scaturito dalla ricerca, racchiude il sogno di prolungare il legame con le persone amate. Scrive Rosi Braidotti per ricomporre i pezzi, per spezzare l’incantesimo di una strega cattiva, per restituire leggerezza, per strappare dall’oblio donne che hanno vissuto e faticato costruendo un tassello della nostra libertà.
L’autrice è l’erede di parole e del non detto, di silenzi e lacrime, in una sofferenza condivisa e in un prendersi cura a vicenda. L’eredità generazionale sta in un braccino di bimba, che protegge la madre, o nella finestra cosmica, dove lo sguardo va al mondo ma anche all’interiorità, fino a sentire l’identità come cassa di risonanza, che accoglie l’invito della Woolf: «Pensiamoci attraverso le nostre madri e le altre donne».
L’identità è retroattiva e interattiva. Il singolare si innesta nel collettivo, senza il quale non ci sarebbe stato il femminismo e il non detto sarebbe rimasto di traverso in gola. La storia della famiglia è anche la storia del Friuli, dell’emigrazione e delle alluvioni, delle due guerre mondiali, della profuganza, delle violenze, del patriarcato, del plurilinguismo, delle discriminazioni, delle donne, dell’emancipazione, della «piccola Repubblica dei Braidotti».
In attesa di incontrarla a Udine, le abbiamo chiesto quale messaggio intenda portare tornando alla sua terra. È un invito: «Amare la propria terra non significa odiare le altre. È conoscenza e condivisione, non regionalismo vuoto. Non siamo italiani o friulani perché nasciamo in una terra, ma perché la conosciamo. Buttiamo via le cuffie. Diamoci da fare. Soggetti si diventa. Non siamo famiglia, perché nati da uno stesso ceppo, ma perché continuiamo a cercarci e aiutarci. La nostra terra è anche Barcis, è anche Giulia Cecchetin. L’amore non è possesso, ma rispetto dell’alterità e ricerca continua».