La storia ruota attorno a un condominio piuttosto fatiscente che, tuttavia, diventa oggetto di una piccola guerra tra le mura domestiche. I protagonisti di questa contesa sono una moglie che pensa a compiere l’affare, qualora ne diventasse proprietaria, e un marito che non ha il coraggio di affrontare sua zia, vera proprietaria dell’edificio, per farselo intestare. In estrema sintesi, è questa la trama di “Cosa è mai una firmetta” (Garzanti, pagg. 272, euro 18,60), ultimo libro di Andrea Vitali che sarà presentato oggi, alle 18, nello spazio Nord di Piazza della Repubblica, all’interno della seconda giornata di Monfalcone Geografie. Lo scrittore di Bellano, sponda destra del lago di Como, dialogherà nell’occasione con il curatore di Pordenonelegge Alberto Garlini.
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La giornata comincerà già alle 10 con Matteo Bussola e i ragazzi al teatro comunale, mentre in biblioteca per i più piccoli ci sarà Pietro Nicolaucich. Alle 16.30 gli “sguardi green” di Matteo Puttilli e Marco Maggioli, e Pio Baissero con il suo libro sulla Serenissima, alle 18 le “passeggiate d’acqua” di Elisa Cozzarini in Friuli Venezia Giulia, tutti in piazza della Repubblica. Ma torniamo ad Andrea Vitali, protagonista dell’incontro che chiude la giornata.
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Vitali, la sua produzione è formata da molti libri. Da dove trae gli spunti per scriverli?
«Dal pettegolezzo e dall’aneddotica. Anche le vecchie notizie contenute sui giornali, però, costituiscono preziose fonti di informazione. Inoltre, passando gli anni, pure i ricordi miei e dei miei familiari forniscono le idee alla base delle storie».
Lei fa ancora il medico?
«A dire il vero ho smesso nel 2013, ma ho ripreso durante la pandemia perché non potevo certo tirarmi indietro. Abitando poi in un piccolo paese e avendo fatto il medico di base per 25 anni le richieste quotidiane non mancano. Quindi, ho mantenuto il mio ambulatorio».
La sua professione l’ha aiutata nel reperire spunti e idee poi trasferite nei suoi libri?
«Sì, ma non tanto per le storie che, nel mio lavoro, mi vengono raccontate, quanto per le persone che mi capitano sotto gli occhi e che poi, per esigenze narrative, trasformo. Quindi, posso dire che la mia professione mi ha fatto conoscere l’umanità, i suoi vizi, i suoi vezzi e così tanti particolari che sono diventati un terreno di coltura per la nascita di certi personaggi contenuti nei libri».
I suoi pazienti l’hanno quindi ispirata per la loro fisionomia?
«Più che altro per il loro carattere. La fisionomia, invece, mi piace soprattutto inventarla, magari esagerando alcuni tratti somatici, alcune mimiche, la gestualità».
Spesso, lei viene considerato come “l’erede di Piero Chiara”. È una definizione che le dà fastidio o la gratifica?
«La definizione mi ha sempre gratificato. Chiara è uno degli scrittori che ho sempre letto con piacere. Anche perché è uno degli autori italiani che insegna al lettore come si scrive una storia, senza dover frequentare scuole di scrittura creativa. Devo comunque sottolineare alcune differenze con lui».
Quali sono?
«Chiara è stato cattivello con molti dei suoi personaggi. Io, invece, i miei personaggi non li maltratto. Al massimo, li prendo un po’ in giro. Abbiamo indubbiamente punti in comune: la curiosità per le dinamiche di un piccolo mondo, la fascinazione del lago visto come microcosmo».
Quali sono i suoi modelli?
«Principalmente i grandi autori italiani. Al di là, appunto, di Piero Chiara non posso non nominare Guareschi, Parise e Piovene, come anche Nico Orengo e Camilleri. In altre parole, tra i miei autori di riferimento ci sono quelli che hanno avuto l’obiettivo di raccontare storie, attenendosi a scrivere romanzi veri e propri, in senso classico, letterale».
Questi, sono anche gli scrittori che predilige?
«Quelli che ho nominato sono autori che, di quando in quando, rileggo: una lettura di trent’anni fa la si dimentica per forza e, quindi, è bene riprenderla. Poi, per quanto riguarda le altre letture, adoro gli scrittori che narrano mondi anche molto lontani dal mio. Per esempio, mi piacciono i giapponesi che, proprio per questa distanza da me, acuiscono la mia curiosità. Amo il loro stile spesso sulfureo, con finali lasciati alla discrezione del lettore. Inoltre, mi appassionano i gialli, come quelli scandinavi, pur avendo un po’ saturato il mercato: ormai troviamo dovunque commissari, questori, investigatori ed essere originali in questo campo è, di conseguenza, difficile. Cerco di avere un panorama su ciò che, attualmente, si scrive anche se, con tutto quel che esce nelle librerie, è difficile stare al passo con i tempi».
Un libro preferito ce l’ha?
«L’Odissea. La leggo tutti gli anni. Per non dimenticarla mai. Mi ha appassionato negli anni del liceo. La ritengo un capolavoro che contiene tutto: l’amore, la nostalgia, la malinconia, l’odio, la paura. Insomma, ha tutti gli elementi che entrano nei romanzi, anche contemporanei».
Cosa rappresenta la scrittura per lei?
«Di sicuro, non un passatempo. È un piacere, non privo di una certa fatica. Non sempre le cose vanno in maniera dritta, lineare come si vorrebbe. Quindi, è un’attività che richiede rigore. Anche perché ciò che scrivo finisce soprattutto sotto gli occhi di quei lettori che, negli anni, hanno cominciato a seguirmi e che non vanno traditi. Insomma, nella scrittura il piacere c’è, altrimenti sarebbe un’autentica tortura, ma c’è anche un po’ di fatica per mantenere la dignità del prodotto finale».
Quando scrive? E come?
«Di regola, scrivo tutte le mattine. Poco o tanto. Amo un’attività quotidiana. Per il resto, scrivo a mano, a matita. Quindi, ribatto al computer, correggendo direttamente la prima bozza. Il pomeriggio, in genere, leggo e rivedo ulteriormente quanto ho scritto. Solitamente, i ritmi delle mie giornate sono questi».