C’era una volta la mensa aziendale, e ora non c’è (quasi) più. Prima la pandemia e poi lo smart working, con i nuovi contratti aziendali, stanno cancellando un rito sociale del lavoro: la coda con il vassoio, la condivisione del pasto con i colleghi per la pausa pranzo. Mense ridotte o chiuse, mentre dagli uffici più piccoli spariscono i distributori automatici di caffè e snack, perché per le aziende diventano solo un costo.
L’ultimo caso, il più eclatante, riguarda gli uffici delle Generali di via Marocchesa, a Marocco di Mogliano. Con centinaia di dipendenti in smart working e la chiusura della sede il venerdì (tutti a lavoro da casa, dopo un accordo azienda-sindacati, per risparmiare sulla bolletta energetica) chi lavora in cucina e nel bar resta senza lavoro. Con il rischio - denunciano i sindacati, che l’azienda che gestisce la mensa di Generali, la Cirfood, proceda con il licenziamento collettivo dei 35 lavoratori, in maggioranza donne.
«La chiusura in alcune giornate o per lunghi periodi della mensa ha portato la Cirfood a prospettare ai dipendenti», spiegano Andrea Brignolo della Cgil ed Emanuela Detti della UilTucs, «la riduzione generalizzata delle ore contrattuali individuali o, qualora non fosse possibile continuare con questa attività, il licenziamento collettivo con la conseguenza chiusura della mensa. È evidente che per noi entrambe le proposte sono inaccettabili».
La chiusura del venerdì per motivi di risparmi energetico, sottolineano i sindacati, rischia di avere effetti devastanti sull’attività della mensa dove, per effetto dello smart working ordinario, il numero dei pasti giornalieri si è ridotto a meno di un terzo, passando da circa 1500 a circa 400. Lavoratori e lavoratrici esterne ma che, in molti casi, riassunti a ogni cambio d’appalto, lavorano nella mensa di Generali da molti anni. E che, negli ultimi mesi, a causa della riduzione dei pasti da preparare, hanno lavorato non più di 3 o 4 ore al giorno. C’è chi si fa mezz’ora di viaggio con i mezzi pubblici per lavorare un paio d’ore. È anche per questo che i sindacati hanno chiesto un incontro anche ai vertici della società di Trieste. Con l’obiettivo di trovare una soluzione che possa salvaguardare anche i lavoratori della mensa. In un mondo del lavoro che sta radicalmente ridisegnando la propria organizzazione, i lavoratori più fragili restano più esposti.
Ai dipendenti di altre mense aziendali in questi mesi non è andata meglio. Chiusa la mensa all’Agenzia delle Entrate a Marghera, chiuse le mense Fs a Mestre e Venezia, chiusa la mensa Telecom. Questa mattina i lavoratori della mensa delle Generali saranno all’ingresso della sede per un volantinaggio e all’orizzonte c’è uno sciopero. In tanti temono di trovarsi espulsi dal mercato del lavoro, con scarse possibilità di ricollocazione. Non ci sono solo i lavoratori delle mense a soffrire per lo smart working, ma anche tutti i lavoratori degli appalti delle pulizie perché si abbassa la frequenza dei passaggi nei corridoi e negli uffici. Le uniche mense a resistere sono quelle delle fabbriche, dove non c’è o è limitata a un ristretto gruppo la possibilità di lavorare da remoto: Fincantieri, Petrolchimico o Reckitt Benckiser.
