UDINE. Lunedì il prelievo del Dna all’indagato, il 40enne Vincenzo Paglialonga, originario di San Severo di Foggia, residente a Udine e, dal 7 maggio, in custodia cautelare in carcere in via Spalato, e anche il nulla osta al seppellimento del cadavere della donna, la 74enne Loretta Toffoli, che è accusato di avere ucciso nel corso della nottata precedente, nell’appartamento in cui la vittima abitava, al secondo piano del condominio in cui lui occupa invece un alloggio al primo piano.
Martedì 17 maggio, il nuovo sopralluogo degli inquirenti sia sulla scena del crimine e nell’abitazione del vicino che, poche ore prima del delitto, aveva ottenuto di scontare ai domiciliari una condanna per rapina, sia nella stanza messa a disposizione del figlio della vittima, il 42enne Manuel Mason, dalla struttura sanitaria cittadina che lo ha in cura.
Lungi dal dirsi conclusa, l’attività investigativa sull’accoltellamento di via della Valle 4 prosegue alla ricerca di elementi in grado di confermare la ricostruzione ipotizzata dal pm Claudia Finocchiaro o, al contrario, di suggerire piste d’indagine alternative, come auspicato dal difensore, l’avvocato Piergiorgio Bertoli, e dal suo consulente Edi Sanson.
Dal canto suo, l’avvocato Lorenzo Reyes, che invece assiste Mason e che sarà presente all’ispezione di stamani, attende fiducioso l’epilogo del caso. «Siamo stati avvisati in qualità di persona offesa», ribadisce il legale.
Saranno gli ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria del gabinetto interregionale di polizia scientifica di Padova, con l’aiuto dei colleghi di Udine, a entrare nei locali alla ricerca – precisa il decreto della Procura – di «tracce di sangue» e di «altri effetti materiali del reato».
Per farlo, arriveranno a bordo del “Fullback forensic”, un laboratorio mobile dotato delle attrezzature necessarie a repertare e conservare tracce e impronte, di polveri esaltatrici, lampade forensi, buste di sicurezza e frigo congelatore per i reperti biologici.
Intanto, preso atto del primo responso dell’autopsia eseguita mercoledì sul cadavere, il pm ha firmato l’autorizzazione alla restituzione della salma di Toffoli alla famiglia, annullando il divieto precedentemente imposto all’eventualità di una sua cremazione.
«Shock emorragico da lesioni carotidee e cardiache causate da ferite da punta e taglio», la causa del decesso indicata dal medico legale Carlo Moreschi, che aveva indicato in 33 i colpi inferti alla vittima dal suo assassino, tra collo, tronco e coscia destra.
Nel corso dell’esame, l’anatomopatologo aveva inoltre prelevato materiale organico (probabilmente pelle) sotto le unghie delle dieci dita delle mani, per il successivo esame del Dna.
Ieri un campione è stato prelevato anche dall’indagato, che, dopo la convalida del fermo decisa dal gip Matteo Carlisi, si trova ancora nella casa circondariale di Udine, in isolamento.
«Abbiamo chiesto che venga spostato a Pordenone o in qualche altro istituto penitenziario, perché percepisce un ambiente ostile attorno a sé», ha detto l’avvocato Bertoli, lamentando in particolare la decisione di dimezzargli la terapia farmacologica.
«L’ho trovato confuso e meno lucido», spiega, ribadendo anche «l’incompatibilità tra le sue gravi condizioni di salute e il regime carcerario».
Quanto alle indagini, nel respingere fermamente l’accusa di omicidio ed evidenziare «qualche lacuna investigativa», la difesa osserva come a non quadrare sia anche il ritrovamento di una minima quantità di cocaina nell’abitazione di Paglialonga. «Non la riconosce come sua e per dimostrarlo – ha ricordato – ha anche chiesto al gip di essere sottoposto alla prova del capello».
