VENEZIA. L’annuncio di papà Cristiano Zennaro: «Mio figlio Marco è libero e mercoledì 9 sarà in Italia». L’imprenditore veneziano è ormai libero, manca un ultimo via libera del Ministero dell’Interno sudanese per il rientro. E’ atteso per domani 8 marzo.
A quasi un anno dal giorno in cui è arrivato in Sudan e dopo 74 giorni di reclusione in condizioni disumane, l’ingegnere veneziano ritorna a casa.
È stato tolto il travel ban che non gli permetteva di lasciare il Paese. Divieto legato alla causa civile in cui lo aveva trascinato il miliziano che lo accusava di avergli consegnato una partita di trasformatori non conformi a quelli che lui aveva ordinato e pagato attraverso un intermediario.
Più che una causa per frode è stata una vera e propria estorsione, un sequestro di persona, finito con il pagamento da parte di Zennaro di 200 mila euro e dalla restituzione solo in parte dei trasformatori contestati. Ma c’è un’ultima beffa, Marco è stato costretto a pagare una sanzione di 100 euro e giustificarsi davanti ad un funzionario del ministero dell’Interno sudanese, per il fatto che non aveva lasciato il paese allo scadere del visto.
La “liberazione” doveva avvenire domenica 6 marzo quando il giudice ha registrato l’avvenuto versamento del denaro. Purtroppo l’impiegato che doveva trascrivere l’atto ha sbagliato il nome. Quindi rivisto tutto a oggi lunedì.
L’ultima settimana è stata scandita dal versamento dei soldi pretesi dal miliziano e raccolti in Italia dall’impegno di UnionCamere e domenica mattina dalla registrazione in tribunale dell’avvenuto versamento. Atto previsto già per giovedì scorso ma rinviato a domenica perché quel giorno il giudice, a causa di proteste di piazza, non era riuscito ad arrivare in Tribunale.
A riprendere Zennaro si è recato Luigi Maria Vignali, Direttore generale per gli italiani all’estero che insieme all’ambasciatore d’Italia a Khartoum Gianluigi Vassallo, hanno avuto un ruolo fondamentale in una trattativa difficile dove i sudanesi hanno fatto il buono e cattivo tempo a seconda dell’umore di Abdallah Esa Yousif Ahamed, zio del generale al governo Mohamed Hamdan «Hemeti» Dagalo.
Sudanesi che hanno cambiato le carte in tavola mille volte allungando all’infinito il patimento dell’ingegnere veneziano. Nell’ultima parte della trattativa, mediata da un amico della famiglia Zennaro, ha avuto un ruolo attivo lo stesso Marco.
L’ingegnere ha dimostrato ancora una notevole lucidità nonostante quello che ha passato da quel 16 marzo 2021, quando ha messo piede a Khartoum. Basti pensare alla prigionia prima in una cella del commissariato di Khartoum.
Una cella senza letti o materassi, condivisa con altri trenta detenuti, in condizioni igienico-sanitarie estreme e con un solo bagno. Edificio, se si può definire tale, dove le temperature sfioravano anche i 50 gradi. E poi la detenzione in carcere che assomiglia ad un albergo rispetto al commissariato.
Ma tra tanti disperati Marco trova anche solidarietà.
Resta rinchiuso fino al 14 giugno, quando dopo infinite mediazioni della nostra ambasciata, viene messo agli arresti domiciliari in un albergo. Una volta cadute le accuse penali, in tre procedimenti diversi, viene liberato. Ma colpa la causa civile del miliziano Marco ha l’obbligo di non lasciare il Sudan.
L’ambasciatore temendo altri colpi di scena ed evitare ulteriori arresti, fa trasferire in ambasciata l’ingegnere. Qui troverà una parvenza di vita normale. Ora può riabbracciare i tre figli e la moglie visti in questi mesi sullo schermo di un computer
Finalmente il lieto fine, salvo imprevisti dell’ultim’ora che in Sudan purtroppo non sono così infrequenti.
