TRIESTE. Da una decina di giorni si è allentata la morsa del virus sugli ospedali e si iniziano a intravedere i primi segnali di ritorno alla normalità. La prima tappa è fissata per l’inizio della prossima settimana: «Già da lunedì 21 febbraio, con la Direzione centrale e l’assessore e vicepresidente Riccardo Riccardi, ragioneremo sui piani di recupero e su come procedere per riaprire gradualmente, seppure con cautela, l’attività ospedaliera, dalla chirurgia alle visite, alla specialistica ambulatoriale», annuncia Antonio Poggiana, direttore generale di Asugi, che aggiunge: «voglio dare un messaggio di speranza, perché siamo alla fine del tunnel».
Si torna piano piano alla normalità, dunque. Quella normalità fatta non solo di urgenze, ma di visite ambulatoriali e interventi a pazienti che soffrono di ernie, colecisti, emorroidi, cataratta, morbo di Crohn, solo per citare alcune patologie che non mettono a rischio la vita delle persone, ma gliela rovinano parecchio. Interventi che sono stati cancellati, o fortemente rallentati, negli ultimi mesi causa pandemia, e che ora verranno gradualmente rimessi in agenda tra Trieste e Gorizia, di pari passo con la chiusura dei reparti Covid o con il loro depotenziamento.
Difficile fare previsioni certe, ma per Antonio Poggiana, e anche secondo alcuni dei primari in prima linea nei nostri ospedali, se la curva del contagio dovesse continuare a scendere, la tarda primavera o almeno l’estate potrebbero rappresentare un punto di svolta: non si riuscirà a smaltire tutto l’arretrato accumulato entro quel periodo, ma si prevede di riuscire a tornare a regime. «I numeri vanno in questa direzione e andiamo anche incontro a una stagione favorevole dal punto di vista climatico - osserva Poggiana - quindi mi sembra realistico. Sono anche state assegnate ad Asugi delle risorse regionali e statati aggiuntive, pari a 3.083.000 euro, per aumentare l’attività, recuperare prestazioni ambulatoriali, ricoveri e attività chirurgica. La prossima settimana presenteremo un quadro completo della riconversione dei reparti, della riapertura di alcuni reparti, sempre con cautela. Per ora sono state fatte solo piccole riorganizzazioni, ma il piano è pronto».
Sondando il clima con alcuni primari, emergono luci e ombre sulla situazione attuale. Il direttore del dipartimento di Scienze mediche chirurgiche, Nicolò De Manzini, spiega che «la prossima settimana abbiamo in programma, nella Clinica chirurgica di Trieste, sei sedute chirurgiche al posto delle cinque di questa settimana». Un passo in avanti, dunque, seppure piccolo per il momento, visto che, come ricorda il medico, «normalmente di sedute ne abbiamo 14».
De Manzini ritiene che «da qui all’estate avremo una tendenza al miglioramento», ma, aggiunge, «sono preoccupato e voglio essere prudente, anche perché in estate arriveranno le ferie dei sanitari, che hanno bisogno di tirare il fiato dopo mesi simili».
Personale che «oggi scarseggia, perché in malattia, in quarantena o alle prese con familiari contagiati. Dal confronto con i colleghi italiani e stranieri - afferma il chirurgo - emerge che praticamente ovunque manca il 17-20 per cento del personale. Si pensi che la Clinica chirurgica ricovera di solito su due piani, ma adesso uno è chiuso perché non abbiamo operatori a sufficienza, quindi, anche se ripartissero a pieno ritmo gli interventi chirurgici, poi dove metteremmo i degenti? E chi li seguirebbe?».
Secondo il professore e chirurgo «ancora oggi lavoriamo quasi esclusivamente sulle urgenze, 600 all’anno solo in Chirurgia generale. Siamo ancora messi male, considerando che abbiamo una media di 30-40 pazienti tumorali in attesa e siamo completamente fermi con i 400 pazienti che attendono un intervento benigno, dalle ernie alle emorroidi alla colecisti, che non sono affatto banali e che rappresentano la base della sanità pubblica. E non contiamo il costo sociale di questi ritardi, tra spesa sanitaria inutile e assenze dei malati dal lavoro. I rallentamenti - spiega - sono dovuti al fatto che le Rianimazioni, che richiedono il doppio del personale, sono ancora piene di pazienti non vaccinati.
Altro personale è stato giustamente dirottato verso i centri vaccinali e altro ancora è assente. Confido quindi nei fondi aggiuntivi della Regione, che li ha sempre messi a disposizione, per pagare le risorse umane, e confido pure che tali risorse umane ci siano: assumiamo infermieri appena laureati, ma io non ne ho visto arrivare uno in chirurgia e questo mi preoccupa. La verità è che a Trieste, affinché la Chirurgia generale riesca a soddisfare correttamente le esigenze delle persone, dovremmo avere ogni giorno due sale operatorie che lavorano 10-11 ore, non 6. Il ritorno a una nuova normalità, nella quale dovremo convivere con il Covid, ci sarà, ma - conclude - servirà riorganizzare gli ospedali partendo da un rafforzamento del personale».
Che siano necessari più personale formato e più sale operatorie lo registra anche Roberto Di Lenarda, rettore dell’Università di Trieste e direttore del Dipartimento di Chirurgia specialistica, che afferma che «entro l’estate saremo a regime, ma non smaltiremo di certo tutto lo storico, anche perché il personale dovrà recuperare le ferie arretrate. In questi giorni deve cominciare la ripartenza.
Oggi la grande difficoltà è legata agli slot di sale operatorie disponibili, e siamo ancora in sofferenza. Quando si potranno chiudere i reparti Covid e si ridurrà la pressione sulle terapie intensive, si potrà riprendere a pieno regime. È fondamentale, perché in questi anni i pazienti hanno pagato un prezzo terribile, non tanto nell’ambito oncologico, dove con fatica si è riusciti a tenere i tempi sotto controllo, ma in tutte le patologie non oncologiche, dove c’è stato un ritardo pazzesco».
Secondo Dario Bianchini, responsabile della Medicina interna e direttore facente funzione del Dipartimento di Medicina, è ragionevole pensare che «a maggio potremmo tornare a qualcosa che assomiglia alla normalità. Negli ultimi giorni la pressione sugli ospedali si è allentata, le urgenze legate al Covid sono diminuite in modo consistente, anche se purtroppo non è sceso in modo altrettanto rilevante il numero di positivi ricoverati, elemento che complica l’attività ospedaliera e che indica che con il virus dovremo imparare a convivere in futuro. L’obiettivo fondamentale ora è far ripartire l’attività chirurgica ordinaria, perché oggi si operano solo i pazienti oncologici e a rischio, ma ci sono molti interventi in attesa. Un esempio per il mio reparto sono le operazioni non urgenti per morbo di Crohn: non sei a rischio di vita, ma non vivi una bella vita e aspettare a lungo non è il massimo».
