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CASO PALAMARA-CSM: LA NEMESI STORICA SULLE INTERCETTAZIONI



Vogliamo chiamarla «nemesi storica»? Preferite l'espressione «legge del contrappasso»? Qualsiasi sia il titolo, resta il fatto che lo scandalo delle intercettazioni sul cellulare dell'iper-sindacalizzato pubblico ministero romano Luca Palamara, ex segretario generale ed ex presidente della mitica Associazione nazionale magistrati, nonché fino al maggio 2018 membro togato del Consiglio superiore della magistratura, sono un vero spasso.


Mi correggo, le intercettazioni in sé non sono affatto uno spasso: al contrario, sono più che deprimenti perché scoprono una volta per tutte l'osceno verminaio a lungo sospettato, l'indecoroso «foro boario» che da sempre sottende a tutte le nomine e alle promozioni che vengono teleguidate dalle correnti all'interno del Csm.

Lo spasso riguarda le reazioni dei magistrati, dei giornalisti e dei politici di sinistra. Perché quando capita loro di essere colpiti da intercettazioni «penalmente irrilevanti», cioè dalla gogna mediatico giudiziaria, urlano tutti come aquile. Per dirne una: Luca Poniz, il presidente dimissionario dell'Anm (corrente di Area, quella più a sinistra), ha appena dichiarato al Corriere: «Noi abbiamo chiesto quelle chat e i colloqui intercettati, ancora prima che venissero pubblicate sui giornali, ma non ce li hanno purtroppo ancora mandati».

A parte che non si capisce a quale titolo la Procura di Perugia avrebbe dovuto inviare all'Anm le carte che ha depositato alla chiusura delle indagini, vi prego di ascoltate che cosa dice Poniz subito dopo: «Come Anm siamo una potenziale parte lesa. Mi chiedo a quale titolo processuale l'abbiano avuta i giornalisti prima di noi».

Esilarante, no? Parte lesa?!? Perché i giornalisti prima di tutti?!? Ma in che mondo vive, il dottor Poniz? Meglio: in che mondo ha vissuto, negli ultimi anni?

Da decenni i cronisti di giudiziaria ottengono in anticipo dalle Procure della Repubblica tutto quel che ai magistrati dell'accusa fa comodo che esca. Possibile che l'Associazione nazionale dei magistrati, cioè la brillante struttura politico-sindacale della categoria, se ne accorga solo oggi, e soltanto quando accade alla categoria stessa?

E i giornalisti? Se possibile, il loro sconcerto è anche più divertente Ieri sera, intervenendo alla trasmissione Quarto Potere su Rete 4, la cronista Claudia Fusani, una donna intelligente che è stata penna di Repubblica e dell'Unità, ha dichiarato a Nicola Porro che «le intercettazioni penalmente irrilevanti non dovrebbero finire sui giornali»; in un soprassalto di coscienza, ha aggiunto che per anni «abbiamo sbagliato a pubblicarle».

Tardiva recriminazione, viene da rispondere: e pentimento fuori tempo massimo. E va detto che almeno Claudia Fusani parla del tema, si confronta: i giornaloni, invece, non pubblicano una battuta di quel che negli anni ha registrato il cellulare di Palamara. I loro cronisti di giudiziaria, citati e intercettati qua e là, si nascondono come timide lucciole nella notte di maggio. Solo su La Verità trovate le trascrizioni. E anche questo è un brutto segnale. Non cambierà nulla.

Quando nel luglio 2011 uscì un mio libretto intitolato La Gogna: come i processi mediatici e di piazza hanno ucciso il garantismo in Italia, me la presi con quei giornalisti che non si vergognavano a fare da megafono per le Procure (e alcuni di loro se la presero con me…).

Sulle intercettazioni, cercai l'opinione di giuristi importanti, di destra e di sinistra. Tra loro ricordo quella di Guido Calvi, avvocato penalista, difensore di Massimo D'Alema e di altri importanti uomini politici al vertice del Pci-Pds negli anni di Tangentopoli, quindi parlamentare dei Ds e del Pd, e in quel 2011 membro «laico» del Consiglio superiore della magistratura. Non certo un «personaggetto», quindi. Nel libretto, Calvi era stato tra i più duri: aveva criticato «l'utilizzazione distorta delle intercettazioni, che spesso hanno finito per coinvolgere e screditare la privacy di persone completamente estranee alle indagini». Poi se l'era presa con i giornalisti «che divulgano in maniera abnorme il loro contenuto, violando la dignità e l'immagine di molti cittadini. Io non credo affatto esista un dovere di pubblicare ogni cosa». E aveva concluso con le classiche parole d'oro: «La formazione della prova rischia di essere influenzata proprio dalla simbiosi, dallo scambio reciproco di documenti fra magistrati e giornalisti, che va ben al di là del circuito mediatico-giudiziario di Mani pulite».

Nove anni fa, insomma, un autorevole membro del Csm denunciava l'esistenza di un asse strumentale tra alcune procure e alcuni cronisti, teso a rafforzare l'effetto delle inchieste giudiziarie e a devastare l'immagine degli indagati. Altro che «separazione delle carriere» tra pm e giudici: la vera rivoluzione sarebbe stata quella di separare le carriere tra pm e cronisti. Smentite? Nessuna. Reazioni? Zero. Ci si sarebbe potuti aspettare almeno qualche presa di posizione ufficiale, per esempio da parte di quella stessa Associazione nazionale magistrati che oggi tanto s'indigna. Invece, nulla. Un silenzio ovattato aveva coperto le parole di Calvi. Lo stesso Csm aveva fatto finta di non accorgersene, rafforzando l'antica, irridente ipotesi che il suo acronimo significhi in realtà «Cieco, sordo e muto».

Così il mercato delle vacche delle correnti delle toghe è andato avanti imperterrito, come sempre. E tanti (troppi) cronisti di giudiziaria hanno continuato a fare carriera legandosi mani e piedi alle sorti dei loro danti causa: i pubblici ministeri di riferimento. Tutto questo alle spalle della deontologia professionale, ma soprattutto della democrazia, perché è evidente che per decenni il fronte comune pm-cronisti ha fatto strame delle regole del gioco democratico.

Del resto, chi potrebbe opporsi alla «gioiosa macchina da guerra» che mette insieme una qualsiasi procura e ai cronisti di giudiziaria dei principali giornali? Per questo, oggi, c'è almeno da divertirsi un po' a vederli tutti quanti lì, imbarazzati e fintamente indignati. È un contrappasso? È la nemesi storica? Non lo so. Di certo, qualcuno spera onestamente che l'oscena vergogna che emerge dalle intercettazioni di Palamara imponga cambiamenti radicali, giuste riforme, addirittura modifiche sostanziali al Csm. Ci credete voi? Io no. Nemmeno se lo vedo.

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