Nei record negativi sulla pena di morte che l’Arabia Saudita non si stanca di battere ce n’è uno che riguarda i cittadini di altri stati impiccati o decapitati. Secondo l’Organizzazione europea saudita per i diritti umani, un’associazione della diaspora che ha sede a Berlino, degli almeno 274 prigionieri messi a morte dall’inizio del 2024, oltre 100 (101 alla metà di novembre, per l’esattezza) erano cittadini stranieri.
Sia nel 2022 che 2023 i cittadini stranieri impiccati erano stati 34.
L’aumento riflette solo in parte quello complessivo delle condanne a morte eseguite: il record precedente risaliva al 2022, quando erano state 196. A fine anno, con ogni probabilità, verranno superate le 300 esecuzioni. Questa terribile escalation si deve anche, ma non solamente, alla fine della moratoria sull’uso della pena di morte per reati di droga.
Questo il macabro dettaglio del numero dei cittadini stranieri messi a morte per stato di provenienza: 21 Pakistan, 20 Yemen, 14 Siria, 10 Nigeria, 9 Egitto, 8 Giordania, 7 Etiopia, 3 Sudan India e Afghanistan, 1 Sri Lanka Eritrea e Filippine.
I processi nei confronti degli imputati stranieri sono ancora più iniqui di quelli celebrati contro gli imputati sauditi: atti giudiziari non messi a disposizione o scritti in lingua incomprensibile, servizi di interpretariato assenti e minima o inesistente assistenza consolare.
È importante notare infatti che, a parte Sri Lanka e Filippine, tutti gli stati di origine mantengono e applicano la pena capitale. Non si spendono dunque molto per chiedere la grazia dei loro connazionali all’estero, dato che li mettono più o meno regolarmente a morte tra i confini domestici. E poi, perché protestare, magari per la sorte di un piccolo spacciatore, col rischio di perdere finanziamenti e donazioni del generoso regno saudita?
L'articolo Arabia Saudita, nel 2024 oltre 270 prigionieri messi a morte: più di un terzo erano stranieri proviene da Il Fatto Quotidiano.