In media, ogni giorno a Trieste un appartamento in precedenza a uso residenziale viene convertito a quello turistico. Stando agli ultimi dati del Comune, gli alloggi convertiti a casa vacanze sono 4 mila. Ma Federalberghi stima che ce ne siano almeno altri 2-3 mila abusivi.
Guardando solo a quelli regolarmente registrati, qualcosa comunque non torna. Perché dal ricavato dell’imposta di soggiorno la parte del leone la continuano a fare gli alberghi. Eppure, stando all’Osservatorio di rigenerazione urbana e politiche abitative del Comune, solo il 32,8% dei posti letto è garantito dalle strutture alberghiere, ovvero dagli hotel, gli ostelli e i residence.
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«Malgrado i numeri – segnala Guerrino Lanci, presidente di Federalberghi – il gettito prodotto in termini di imposta di soggiorno da tutte queste strutture, il numero di soggetti per i quali viene versata l’imposta, è drasticamente inferiore a quello del segmento alberghiero». Eppure, in termini di posti letto, «sono gli appartamenti a uso turistico ad avere i numeri più importanti – aggiunge – quindi è chiaro che c’è qualcosa di anomalo. Per Lanci è quindi «evidente come a fronte di molti operatori onesti, ce ne siano altri che non versano l’imposta di soggiorno». C’è poi il tema della Tari o dei costi di acqua e energia, «che a una struttura ricettiva – indica Lanci – impongono tariffe, aliquote diverse rispetto a un residente: come viene gestito questo aspetto nelle case vacanza?».
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Questioni con le quali, fino a qualche anno fa, Trieste non era chiamata a fare i conti. Ma che la svolta turistica ha portato a galla. «Sia chiaro – sottolinea il presidente di Federalberghi – questo tipo di offerta è richiesta, quindi nelle dinamiche di una città turistica deve esserci: il problema è lo scarso rispetto delle regole».
L’Osservatorio di rigenerazione urbana e politiche abitative nella sua relazione, a corredo dei dati, scrive di «un avanzamento inesorabile delle locazioni a fini turistici: un fenomeno che, se fino a pochi anni fa era limitato, oggi sta avanzando a ritmi preoccupanti». Nel 2023 rispetto al 2022 «la crescita del numero di appartamenti destinati ad accogliere chi si ferma per poche notti in città è stata del 166%».
Da un lato ci sono i privati che autonomamente decidono di destinare a uso turistico la loro seconda casa, magari un appartamento in precedenza riservato a studenti o a residenti, puntando a un maggior guadagno e minori vincoli contrattuali. Dall’altro, invece, c’è chi ha deciso di trasformare questa opportunità in un vero business. Così prende in affitto diversi alloggi che poi subaffitta ai turisti. Se nel contratto di locazione viene inserita questa possibilità, il conduttore è autorizzato a farlo.
L’apertura di un “esercizio di unità abitative ammobiliate a uso turistico” è subordinata alla presentazione della Segnalazione certificata di inizio attività, ovvero la Scia, allo Sportello unico attività produttive (Suap) del Comune. Attraverso delle credenziali, le strutture sono poi obbligate a versare l’imposta di soggiorno che riscuotono dagli ospiti, la cui identità va inoltre comunicata alla Questura.
«Che sotto al fenomeno degli affitti brevi si celi una sacca di evasione, sotto diversi aspetti, è evidente – costata l’assessore al Turismo Giorgio Rossi – ed è un problema comune purtroppo a tutte le città a forte spinta turistica». Visti i numeri e il ritmo con il quale negli ultimi anni questo tipo di strutture sono aumentate, i controlli ovviamente non sono semplici. «Non possiamo però arrenderci a una mancanza di rispetto delle regole», così Rossi, che valuta come «il fenomeno degli abusivi preoccupi sia per l’aspetto che riguarda la sicurezza che per quello dei mancati incassi dell’imposta di soggiorno, ma di fatto rende non sempre aderenti con la realtà anche i dati degli arrivi».
Sul versante della sicurezza «non sappiamo di preciso – continua l’assessore – chi c’è a Trieste, se in un alloggio preso in affitto da una persona se ne aggiungano altre». Per contribuire in qualche modo a stanare i furbetti «e andare a recuperare quello che ci è dovuto – sostiene Rossi – come abbiamo investito delle risorse dell’imposta di soggiorno per la sorveglianza dei musei, non vedo perché non destinare una cifra per creare una squadra autorizzata che si dedichi a controlli a tappeto: sarebbe un investimento per recuperare quello che non viene versato».
Guardando alle strutture extra alberghiere regolarmente denunciate, l’Osservatorio indica come «il fenomeno interessa in particolare gli ambiti B2 e B1 della città (centro urbano e prima periferia, ndr) – il 62% è concentrato in questa area – che sono proprio quelli che hanno registrato un rialzo netto delle compravendite e dei canoni di locazione». Il rischio, per l’Osservatorio, è «l’attivazione di un fenomeno di allontanamento dal centro storico verso l’esterno della popolazione residente attuale e futura, sia per mancanza di offerta di abitazioni, sia per un’offerta non sostenibile a livello economico, che vede un aumento dei valori degli immobili in queste zone».—
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