Sempre più spesso capita d’incontrare, nei boschi e lungo i sentieri lontani dalla città, gruppi di viandanti armati di taccuini, coltellino svizzero e canestri, incamminati al seguito di una guida che, lungo il percorso, indica le erbe, i germogli, le bacche e i fiori edibili e ne illustra le virtù salutari e le corrette modalità di raccolta: alla fine della gita, i preziosi bottini verdi verranno riconvertiti in tisane, sciroppi, conserve e in tante altre meraviglie frutto dell’infinita generosità di Madre Natura. I nuovi seguaci dell’alimurgia - termine che indica la possibilità di nutrirsi di vegetali selvatici per scelta o per necessità - oggi tengono viva un’arte che in passato si tramandava in famiglia e consentiva di trovare di che sfamarsi (e curarsi) nei prati e nelle foreste, soprattutto nei periodi di carestia. In tempi di sovrabbondanza alimentare, l’antico sapere si è rifatto il look, e con il nome anglosassone di «foraging» si è trasformato in una passione di tendenza che aiuta a recuperare una connessione virtuosa con la terra. Con non pochi benefici per il corpo e per lo spirito.
«Quando ci si muove insieme in natura per la raccolta, si crea una piccola comunità che condivide pratiche ed esperienze che poi si mantengono vive nel tempo, e poco per volta diventano per ciascuno un patrimonio di conoscenze unico» conferma Chiara Silvia Cenedese, guida certificata di forest bathing e foraging, e fondatrice di Madreselva (www.madreselvaworld.com), piattaforma dedicata agli appassionati di pratiche selvatiche. Le zone verdi del Cusio, le vette della Val Grande e gli alpeggi dell’Ossola ospitano i workshop promossi da Cenedese, che tra maggio e giugno ha in calendario tre appuntamenti per imparare a utilizzare le piante commestibili, da sole o abbinate al miele, e per luglio e agosto organizza retreat da due giorni in una baita off-grid a 1.900 metri di quota nella zona di La Thuile (Valle d’Aosta), offrendo comunque la possibilità di pianificare tutto l’anno uscite di foraging private.
Affidarsi a un forager esperto è di vitale importanza. Perché soprattutto per i non addetti ai lavori il rischio di scambiare crocus per zafferano o mughetti per aglio selvatico è altissimo, e può avere conseguenze letali. «La prima cosa da non fare è raccogliere una pianta se non si è sicuri di riconoscerla: per ogni pianta buona, infatti, c’è un sosia cattivo, proprio come accade con i funghi» avverte Valeria Margherita Mosca, antropologa ed etnobotanica, ideatrice di Wooding (wood-ing.org), il primo e unico laboratorio alimentare al mondo che lavora esclusivamente sul «wild food» e autrice di vari manuali sul tema dell’alimurgia, fra i quali il recente Alla ricerca della natura selvatica. Guida pratica al foraging conservativo (Fabbri). Prima di iniziare, andranno individuate le aree lontane da fonti di inquinamento del terreno o delle acque, ed è vietato saccheggiare in maniera indiscriminata gli ecosistemi: «Si raccolgono solo piante che crescono in abbondanza e mai l’esemplare intero: meglio dotarsi di un paio di forbici per tagliare le parti aeree senza rovinare le radici», prosegue Mosca. «Occorre anche prestare attenzione al periodo in cui si pratica il foraging, perché asportare fiori o gemme in un momento sbagliato potrebbe alterare il ciclo di vita della pianta e dell’ambiente in cui vive». Non ultimo, consumare vegetali spontanei in base alla stagionalità permette di ottenerne il massimo dell’espressione terapeutica, e di fare scorta di dosi consistenti di vitamine, minerali, enzimi e clorofilla.
Pietro Leemann, lo chef fondatore a Milano del Joia, il primo ristorante vegetariano stellato in Europa, dal 2025 si trasferirà in una comunità spirituale vicino a Centovalli, in Canton Ticino, per vivere da monaco della religione indiana Krishnaita, ma senza smettere del tutto con i fornelli: nei suoi due nuovi bistrot i cibi serviti saranno tutti biologici, molti prodotti nel villaggio e altrettanti «foraged» in natura. A dimostrazione che alimentarsi con ciò che si raccoglie (almeno in prevalenza) può diventare la via per riannodare il fil vert che lega l’uomo all’Eden originario. Per provare, si può mettere in agenda un fine settimana di foraging in montagna: per esempio in Val d’Ega, al Kräuterhotel Zischghof di Obereggen (www.zischghof.it), il primo «hotel delle erbe aromatiche» in Alto Adige, dove la padrona di casa Elisabeth Pichler e la figlia Margit coordinano giornate di raccolta guidata nei boschi che circondano la struttura o nell’orto dell’albergo, e corsi durante i quali si apprende a trasformare il bendidìo vegetale in prodotti alimentari e cosmetici.
Nel Parco Nazionale dello Stelvio, invece, Martina Dossi, titolare dello Chalet Alpenrose (www.chaletalpenrose.it) e Kräuterpädagogin (pedagoga erboristica), propone passeggiate nella Val di Sole alla ricerca di «erbacce», e insegna a preparare caffè al gusto di larice e delicate misticanze di corolle alpine. Verso sud, all’Executive Spa Hotel di Fiorano Modenese (www.executivespahotel.com) lo chef del ristorante Alto, Mattia Trabetti, insieme ad Alessio Gennari, studioso di botanica, custode di biodiversità tra i fondatori di Manna Organic Italia e docente ad Alma, organizza escursioni di foraging sulle colline modenesi. Al Castello di Reschio (www.reschio.com), antico maniero sulle alture di Lisciano Niccone, al confine fra Umbria e Toscana, le settimane che preludono all’inizio dell’estate sono il tempo balsamico perfetto per la raccolta dell’iperico, l’erba di San Giovanni da far macerare in olio d’oliva per ottenere un unguento portentoso, ma non mancano la camomilla che addolcisce tisane e i licheni da aggiungere al pane. Dalle selve al piatto, in effetti, il passo è breve: al Praia Art Resort (www.praiaartresort.com) sulla costa calabrese della Riserva Marina di Isola di Capo Rizzuto il botanico Carmine Lupia guida gli ospiti fino all’area naturalistica di Valli Cupe dove, fra cascate e alberi secolari, potranno fare incetta di varietà selvatiche locali che, a cena, saranno protagoniste dei menu del ristorante Pietramare Natural Food.
