«Per le terre alte ci vuole un atto di coraggio, da parte del Governo e del Parlamento: per il riordino della normativa, che oggi è un gran pasticcio (si assimilano le aree montane a quelle interne, che sono anche di pianura), e poi la definizione di Comune montano». Ma Anna Giorgi, presidente di Unimont, l’Università per la montagna, con sede a Edolo (Brescia) ritiene che la nuova legge per la montagna debba garantire – come priorità contro lo spopolamento – i servizi essenziali e assicurare ai giovani sgravi fiscali in particolare. La digitalizzazione è indispensabile, per una qualità della vita irrinunciabile, ma anche per il lavoro e la stessa sanità: «siamo in ritardo con la telemedicina. Quanto ai cambiamenti climatici, sarà impossibile nel futuro prossimo sciare sotto i 1600 metri. Per cui – osserva Giorgi – vanno immaginate attività alternative. Che sono possibili nel turismo come in agricoltura».
È vero che il 50% dell’Italia è montagna?
«Assolutamente no. Questa è una mistificazione. E quando lo sento dire, mi arrabbio, perché è falso. L’Italia ha il 35% di terre alte. Il 15% che porta alla quota del 50% è costituito dai Comuni poveri; quelli che lo erano 70 anni fa. Ma i politici non vogliono rinunciare agli eventuali benefici di cui potrebbero godere più di 2.000 comuni da tagliare dall’elenco che risale a 71 anni fa. La gente questo (come altro) non lo sopporta; ecco perché non va a votare, come è accaduto in queste ore».
C’era già una legge sulla montagna pronta l’estate scorsa. L’allora ministro Maria Stella Gelmini era venuta a Belluno per assicurare che sarebbe stata varata entro i primi di dicembre del 2022. Quella proposta è naufragata con la conclusione anticipata della legislatura. La proposta dell’attuale esecutivo di che cosa sarà sostanziata?
«Mi auguro anzitutto che fissi il numero dei Comuni autenticamente di montagna. La legge del 1952 (nel frattempo abrogata), ne fissa 4.500. Tra i parametri, allora, vi era anche il grado di povertà. Bene, 70 anni dopo, il numero resta quello, ma, guarda caso, non si trova il relativo elenco».
L’Istat però ne considera solo 2.400.
«Potrebbero essere anche di meno. L’Istat, tenendo in conto solo i criteri geomorfologici, ne qualifica come montani solo 2.400. Ma se con la nuova legge aggiungiamo un criterio di discrimine di carattere socioeconomico (popolazione, invecchiamento, imprese e lavoro) ci avviciniamo probabilmente alla vera montagna che ha bisogno di effettivi benefici. Ecco allora che il numero si riduce».
E magari alla provincia di Belluno non arriveranno soltanto 12 milioni del Fondo da 200 milioni per la montagna nel 2023…
«Appunto. Se quel Fondo non è da distribuire sul 50% della presunta montanità di tutta Italia».
La nuova legge sulla montagna per lei dovrà avere come priorità la garanzia di supporti ai giovani. Giovani che le statistiche danno in fuga dalle terre alte…
«Proprio per questo è necessaria, anzi urgente la massima attenzione. Questi processi innescano dinamiche difficilmente controllabili. Piuttosto considero sgravi fiscali o procedurali. Quindi burocrazia che si alleggerisce e quota parte di tasse, proporzionali al valore che si crea. Tasse che si riducono, ovviamente. Altrimenti i giovani che vogliono intraprendere non si fermano in valle, tanto meno in quota, o vi ritornano».
L’attrattività della montagna è proporzionale ai servizi garantiti. Lo certifica anche una indagine Ipsos.
«Certo, sono i servizi che abilitano le persone a rimanere in montagna. Non possiamo immaginare di contrastare lo spopolamento se chi vive in montagna non ha un supporto alla mobilità o alla connessione».
Rivendicare servizi sanitari strutturati in ogni vallata…
«No, sono ingestibili. Abbiamo l’opportunità di sperimentare e realizzare sistemi di telemedicina che siano efficienti. Ecco, per la nuova legge sulla montagna si sta lavorando in direzione dei servizi di base».
I giovani hanno voglia di montagna per costruirsi un futuro?
«Si, sempre di più. Cercano un futuro fondato però sullo stare-bene, su un luogo bello, che garantisca alta naturalità, ritmi di vita più compatibili. Ma i giovani denunciano che non ci sono servizi che li agevolano. Perché non immaginare sportelli virtuali per servizi da remoto? O non facciamo loro pagare un po’ meno la corrente elettrica o la tassa sulle produzioni agroalimentari locali rispetto ad altri territori più facilitati?».