UDINE. Resisteranno. Ancora una volta. E la supereranno questa ennesima chiusura che scatterà da oggi. Anche «se non è facile» dicono. Perché gli ordini per il fine settimana sono già stati fatti, perché i ristori non arrivano, perché i sacrifici non vengono ripagati. Vorrebbero ripartire e non fermarsi più i baristi e i ristoratori del capoluogo friulano. Al punto da invocare anche una “zona rossa” se questo potesse servire ad arrivare a Pasqua con la certezza di tenere aperti. E poi continuare senza vivere più in quel limbo che precede l’annuncio di nuove serrate. Non resta che guardare avanti, dunque, «senza arrendersi».
Gianmaria Mattu, Gimmy per tutti, del Barcollo in via Mercatovecchio non ha alcuna intenzione di mollare. «Si cerca di stare sempre in piedi – spiega –. Si resiste perché non si può gettare via il lavoro di una vita, un mestiere fatto di passione e di sacrifici. Certo, è avvilente dover tornare a chiudere, considerato che noi qui abbiamo dovuto far fronte anche ai disagi provocati dal cantiere per i lavori nella via. Il 90% degli incassi del 2019 ormai li abbiamo persi, senza contare gli investimenti fatti per poter aprire nel rispetto delle disposizioni anti-Covid».
Ci si gode l’ultimo aperitivo all’esterno seduti ai tavolini qui come all’osteria Al Cappello in via Paolo Sarpi. Non nasconde la sua perplessità Valentina Gortan Cappellari che gestisce lo storico locale del centro da 5 anni. «Se la situazione sanitaria lo richiede – afferma – si dovrebbe, a questo punto, istituire una zona rossa perché non è giusto che a rimetterci siano sempre i bar e i ristoranti quasi fossimo noi i luoghi del contagio. Non ne possiamo più di buttare via la merce perché le decisioni vengono prese pochi giorni prima della chiusura. Non possiamo continuare a essere sempre la categoria sacrificabile. Si continua a vivere nell’incertezza totale quando invece dovrebbero trovare il modo di aiutarci concretamente visto che siamo rimasti aperti fino alle 18 per garantire un servizio ai clienti ma a volte, considerati tutti i costi, questo di fatto ha rappresentato una perdita. Si dovrebbe vivere di sorrisi nel nostro lavoro ma non è facile regalarli e l’atmosfera così è molto pesante».
I fratelli Federico e Luca Blessano gestiscono il Birago in viale Venezia dal 2004. Una gestione familiare che ha reso il bar il punto di riferimento indiscusso per il quartiere. E questo merito non solo della simpatia dei gestori, qui di casa, ma anche della qualità su cui hanno sempre puntato. Loro che vinsero il premio come il bar preferito votato dagli udinesi nel 2012 indetto dal Messaggero Veneto non nascondono le difficoltà. «La nuova chiusura – dichiarano – è un disastro per la nostra categoria. Questi continui tira e molla non aiutano affatto, servono aiuti e servono soprattutto maggiori certezze. Certo, non molliamo e quando sarà il momento di riaprire saremo di nuovo qui per i nostri clienti. Ma la situazione è molto difficile»
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Non esita a definirla «disastrosa» questa ennesima serrata Yana Kostenko che gestisce la Buca di Bacco in via Battisti da due anni. Hanno affrontato quelle precedenti inventandosi il box dei vini per asporto. «Noi cerchiamo sempre di fare e dare il massimo ma non è facile – commenta –. Speriamo che per Pasqua ci lascino aperti anche perché fino alle 18 non si lavora tanto».
C’è poi chi, come Luca Lombardo da 15 anni titolare del Caffè Al Portello in piazza San Giacomo, lancia una proposta: «Sarei disposto ad acquistare i vaccini per il mio staff perché si sta andando troppo a rilento con le vaccinazioni altrimenti non se ne esce più da questa situazione anche perché basta fare due conti. In zona gialla si perde circa il 30%, in arancione si arriva al 70% di incassi in meno. Proseguiremo con il take away, ma di certo non può bastare senza contare che dei ristori 2021 non è arrivato nulla».
Si definisce un’ottimista di natura Teresa Gallina dell’Osterya Pura Follia di via Mantica. L’arredamento è tutto ispirato ai libri, omaggio alla vicina Università. L’ha aperta a ottobre 2020 e a marzo è arrivato il lockdown. «Non mi arrendo – spiega – e quando si potrà riaprire sarò di nuovo qui presente. Si tratta di una questione di salute e le regole vanno rispettate per l’interesse comune. Sicuramente non è facile, ma andiamo avanti». Gli ultimi aperitivi, gli ultimi pranzi. Va in scena l’ultima giornata «di normalità» dice uno dei clienti seduti all’aperto. —
