E invece no! “Non è che la gente la cultura se la mangia”, sentenziò dieci anni fa un ministro di primo piano preparato quanto saccente, tagliando i fondi destinati al settore. Si sbagliava: gli italiani si nutrono di cultura, non solo con la pancia perché spendono e producono reddito, ma anche con la mente perché fanno crescere le idee e arricchire la visione del mondo e della vita.
Neppure la devastazione del Covid ha contagiato questa consuetudine. Ha falcidiato i consumi del 47 per cento, visto il lockdown che ha provocato la chiusura totale di cinema e teatri, biblioteche e musei; ma il ricorso all’on-line ha arginato il tracollo, e comunque la voglia degli eventi in presenza è lievitata. E con un’Italia quasi tutta in giallo, una ripresa già si vede.
Quattro indizi speciali lo segnalano. L’acquisto di libri è in aumento, come riferisce Antonio Zaglia, presidente veneto di Ali Confcommercio, l’associazione dei librai. Merito anche di iniziative coraggiose, come la consegna dei volumi a domicilio con la formula dell’home delivery. Ha già raccolto 20mila firme la campagna “abbonato abbandonato”, che chiede la riapertura dei teatri per concerti e recite: via computer è pur sempre un’alternativa, ma in presenza è tutt’altra emozione.
Nel solo primo giorno (feriale) dell’apertura della mostra sui Macchiaioli a Padova, si sono registrati settecento visitatori. E un ciclo di incontri a distanza sul viaggio di Dante nella Divina Commedia proposto dalla biblioteca comunale di Abano da Giovanni Ponchio ha raccolto centocinquanta iscritti.
Sono indicatori della grande voglia di cultura che caratterizza tutti i settori, e che secondo un’indagine di questi giorni contraddistingue quasi nove italiani su dieci. E questa voglia è frutto di uno dei pochi aspetti positivi della pestilenza del Covid: facciamone tesoro, cogliendo magari le significative novità dettate dalla pandemia, a partire dalle chances offerte dall’on line per allargare la platea dei consumi. Ma sempre tenendo conto del fatto che gli eventi in presenza sono la priorità, come lo è per la scuola: la formula a distanza se ben impiegata può essere una preziosa integrazione, mai la fonte primaria.
E’ anche una questione di reddito, per il Paese dove la Grande Bellezza è di casa. L’Italia vanta 51 luoghi classificati dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, prima al mondo, e 205mila beni culturali censiti dal Mibac, il ministero del settore, distribuiti in 7983 Comuni sugli 8558 totali.
Come segnala un rapporto della Fondazione Symbola, il comparto contribuisce per il sei per cento al valore aggiunto nazionale, con un fatturato di 96 miliardi. E dà lavoro a un milione e mezzo di persone. Per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano quasi altri due nei diversi settori. Il nuovo ciclo di fondi europei 2021-2027 propone rilevanti incentivi, pari a 1.850 miliardi, e l’Europarlamento ha chiesto di portarli a quasi tre. Una chance importante da non sprecare.
La materia grigia è la risorsa primaria per qualsiasi Paese, ed è strategica: non si importa, non inquina anzi, ed è rinnovabile. L’Italia da sempre ne produce in quantità illimitate e qualità di eccellenza, anche se le politiche pubbliche tendono a mal-trattarla. Che il post-Covid sia un’occasione per rivalutarla, contribuendo anche così alle celebrazioni per i settecento anni della morte di Dante: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.
